La leggenda insanguinata della montagna «italiana»

Compiuta la prima volta nel ’54 da due italiani, l’ascesa del K2 è costata la vita a 66 alpinisti

Ogni anno, verso la fine di maggio, con la chiusura della stagione delle spedizioni sull’Everest, sull’Himalaya si inizia a fare sul serio. Con i primi di giugno inizia infatti la stagione delle ascensioni sul gruppo del Karakorum, un nome che al grande pubblico dice poco, ma che ai pochi membri del club degli 8mila metri fa gelare il sangue: qui, sul confine tra Pakistan e Cina, si annidano le vette più inaccessibili e pericolose del mondo. Fra queste, incastonato nel centro esatto di una zona inaccessibile e selvaggia, si trova il K2, il gioiello della corona, seconda montagna più alta al mondo, ma prima assoluta per la difficoltà della scalata: l’autentica medaglia d’oro dell’alpinismo estremo.
I numeri parlano da soli: 1400 spedizioni hanno raggiunto la vetta dell’Everest, solo 189 quella della sorella minore. Dalla celebre spedizione italiana del 1954 che per prima domò la sommità della «montagna maledetta», quella di Bonatti, Lacedelli e Compagnoni, regalando alla storia delle imprese sportive una delle pagine più epiche e controverse, solo un pugno di «folli» amanti delle altezze è riuscito a eguagliare la conquista. Sono passati 23 anni prima che l’impresa venisse ripetuta (dall’americano Louis Reichardt nel 1978), e fino a l’altro ieri solo altre 275 persone avevano eguagliato gli eroici italiani: a caro prezzo. Perché il K2, e la tragedia di ieri ne è l’ultima conferma, pretende il massimo da chi osa sfidarlo. E spesso ha richiesto un tributo di sangue. Prima di ieri 49 scalatori vi hanno perso la vita, 22 durante la discesa di ritorno, dopo aver assaporato fugacemente la soddisfazione per aver domato la montagna più difficile del mondo. I numerosi passaggi difficili e ripidi, il microclima, rigido e di difficile previsione - capace all’improvviso di scatenare violente tempeste, e sferzato costantemente da venti che impediscono l’utilizzo degli elicotteri - contribuiscono a rafforzare le numerose leggende che da sempre gravitano attorno al K2, la più inquietante delle quali riguarda il rapporto della montagna con le donne: le prime cinque alpiniste che hanno raggiunto la vetta hanno tutte perso la vita; tre di loro proprio durante la discesa. Le altre due sono morte in altre scalate.

Il 26 luglio 2004 la scalatrice spagnola Edurne Pasaban ha interrotto la catena di sangue. Le successive imprese dell’italiana Nives Meroi (26 luglio 2006) e della giapponese Yuka Komatsu (primo agosto 2006) sembravano aver interrotto definitivamente la «maledizione».

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