"Ci vuole Pazienza" per capire il "Paz". Che preferiva Jeffers al suo Zanardi

Fra le proprie opere, il fumettista amava "Campofame", tratta dal poeta statunitense

"Ci vuole Pazienza" per capire il "Paz". Che preferiva Jeffers al suo Zanardi
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All’Istituto italiano di Cultura di Bruxelles, «Ci vuole Pazienza» è il titolo di una bella mostra, aperta fino al prossimo 8 aprile, dedicata a uno dei più importanti protagonisti del fumetto italiano: Andrea Pazienza, tragicamente morto nel 1988 a 32 anni. Curata da Marina Comandini, vedova dell’artista, e da Antonello Vigliaroli, responsabile del suo archivio, l’iniziativa culturale, oltre all’esposizione di molte tavole originali delle opere di «Paz», prevede la proiezione di alcuni video, uno spettacolo di musica e parole a cura di Luca Ciarla e l’installazione di una serie di pannelli dedicati alla vita e alla carriera del creatore di personaggi indimenticabili come Zanardi, Penthotal, Pompeo, studenti eternamente fuori corso o giovani bruciati dal ciclone politica-droga-indifferenza che ha attraversato il gelo degli anni di piombo e il calduccio dell’epoca del “riflusso”. I suoi anti-eroi sono ribelli per davvero, disposti a perdersi pur di non cedere alle lusinghe del mondo conformista e iperconsumista, che cominciava a diffondere i suoi tentacoli durante gli ultimi anni della sua breve e drammatica vita.

Come scrive il suo caro amico Moreno Miorelli, «movimenti, epoche, sostanze stupefacenti erano solo dei pretesti, contingenze per cavare fuori dal transitorio qualche cosa di veramente vivo e incorruttibile». Infatti, una delle sue ultime opere, quella a cui teneva di più, è Campofame, tratta dall’omonimo libro (Hungerfield) di un durissimo poeta americano, Robinson Jeffers, amico di Ezra Pound e “irriducibile”. Uscita su Comic Art e poi pubblicata come volume a sé dalle Edizioni Di nel 2011, Campofame è la trasposizione a fumetti di un poema narrativo in cui Jeffers, un anno dopo la scomparsa della moglie, cerca di fare i conti con l’inevitabile dolore della morte, dimostrando tutto il suo stoicismo. La prima edizione italiana fu tradotta a cura di Mary de Rachewiltz nel 1963 per le Edizioni del Segnaccio di Bologna, con disegni di Renato Guttuso.

È la storia di un uomo che, per salvare la madre malata, aggredisce la Morte e la uccide. Le conseguenze sono drammatiche: «si prolungarono le malattie, le carestie e i tradimenti, e nessuno morì più, per quanto l’invocassero. La morte, odiosa e amata, si era incontrata con un mostro peggiore e non poteva venire».

Misantropo, conservatore, nemico del progresso e delle comodità, Jeffers (1887-1962) fu un nietzschiano, ovviamente accusato di fascismo, e soprattutto un grande, spietato poeta, ovvero un uomo dotato di sensibilità superiore, che sa guardare in faccia la realtà per aiutare gli altri a comprenderla e apprezzarla.

Incompreso dai suoi lettori, che non capivano la sua vera natura, Pazienza sbottava: «Zanardi! Zanardi! Io gli faccio conoscere Jeffers e la storia e la poesia. Ma loro vogliono Zanardi! E io mi sono rotto le palle di Zanardi! Il gusto, dicono. Sai, questi sono i gusti! Affanculo il gusto! Macché, sono una marchetta? Io lavoro, di più: mi scortico, per il gusto degli altri?».

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