LA LEZIONE DELLA CHIESA

Il centrodestra non può, prima di tutto, che contrastare le demonizzazioni dell'Unione («fate solo leggi ad personam»): da qui la controffensiva sulla pretesa superiorità morale della sinistra e sulle pratiche egemoniche tradizionali, e non superate, della politica postcomunista. Respingere il tentativo d'imporre a chi ha governato di arrendersi senza misurare i suoi argomenti, è indispensabile per, poi, aprire spazi alle proprie ragioni. Anche perché grande parte della stampa «indipendente» vorrebbe che la partita fosse giocata solo dalla sinistra. Alcuni grandi giornali, infatti, devono preoccuparsi più di come gli equilibri finanziari condizionano le loro scombinate proprietà che delle esigenze di una discussione libera. E, quindi, per la direzione di questi giornali acquisire da subito la vittoria della sinistra (e, al suo interno, delle fazioni amiche) è spesso questione di sopravvivenza. Certo, vi sono eccezioni rilevanti: Pietro Ostellino sul Corriere della Sera spiega con chiarezza come l'elettore deve esaminare bene la questione delle grandi opere che servono al Paese. Ferruccio De Bortoli, giorni fa, in un editoriale sul Sole 24 ore, fornisce un quadro di ciò che ha fatto il governo Berlusconi meno fazioso di quello che si trova abitualmente sui quotidiani cosiddetti indipendenti.
Bisogna dunque rompere una dura incrostazione per favorire un dibattito reale. E, in questo senso, conta anche l'atteggiamento di chi non vuole (né deve) schierarsi nello scontro elettorale. Ci pare un po' persa la neutralità di gran parte del movimento sindacale. La Cisl negli ultimi anni ha difeso con determinazione la propria autonomia: oggi probabilmente schiererà il segretario Savino Pezzotta in lista con la Margherita. La Cgil non ha dubbi su come posizionarsi: il suo impegno è sostenere Rifondazione nel bloccare tutti i tentativi di modernizzare il mercato del lavoro che, ahimè velleitariamente, emergono nel centrosinistra. Meglio, allora, la defilata Uil.
Di tutt'altra pasta la capacità d'interrogare la politica italiana sui temi della vita, della famiglia, della libertà di educazione, offerta dal cardinale Camillo Ruini per conto dei vescovi italiani: domande che richiedono dialogo senza imporre scelte di schieramento. Domande a cui non sempre i partiti rispondono (in alcuni casi vi sono questioni che attengono più alle coscienze che alla politica) ma che comunque aiutano la discussione elettorale a orientarsi su scelte motivate.
Vi sono, poi, le posizioni di Confindustria che appaiono un po' confuse. Innanzi tutto nel governo dei propri uomini. A primavera si è fatto un richiamo a Michele Perini, allora presidente di Assolombarda, perché si era pronunciato per Roberto Formigoni. Oggi abbiamo Luigi Abete, presidente degli industriali romani, che non solo non si perde un convegno del centrosinistra, ma partecipa anche alla stesura dei programmi e annuncia il suo voto con grande generosità. Più in generale, al contrario dei vescovi il cui linguaggio è tradizionalmente «sì, sì, no, no» , alla Confindustria montezemoliana piace molto fare proclami generici su liberalizzazioni, concorrenza, innovazione.

Ma quando si viene al concreto: difendere le opere pubbliche già impostate o no, difendere la riforma delle pensioni fatta o no, difendere la legge Biagi o no, difendere le riforme di scuola e università, o no. Beh, quando si arriva al concreto, non si capiscono bene i pareri che esprime.

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