UNA LEZIONE SULLA CRISI

Quando Pio XI scrisse la Quadragesimo anno, aveva davanti agli occhi lo scontro tra i totalitarismi e la crisi di Wall Street del 1929; quando Giovanni XXIII scrisse la Pacem in terris aveva davanti a sé il mondo diviso in due blocchi e la guerra fredda; quando Paolo VI scrisse la Populorum progressio aveva presente il divario tra Nord e Sud del mondo; quando Giovanni Paolo II scrisse la Centesimus annus il mondo viveva ancora nell’euforia per la caduta del Muro di Berlino e la fine del comunismo. Oggi Benedetto XVI pubblica la Caritas in veritate e ha davanti agli occhi il mondo colpito dalla crisi economica e finanziaria, insieme all’emergere di una nuova ideologia della tecnica che ha soppiantato le grandi ideologie del Novecento.
Le encicliche sociali, novità dell’ultimo secolo, sono sempre calate nella realtà presente e giudicano i fenomeni in atto senza pretendere di fornire ricette risolutive calate dall’alto, ma indicando delle strade percorribili basate sui principi di sempre. Sarebbe fuorviante ridurre la portata del nuovo documento papale, la terza enciclica di Ratzinger, la prima sociale del suo pontificato, esaurendo il suo messaggio nella richiesta di un po’ più di etica nella finanza e nell’economia. Così come sarebbe fuorviante analizzarla per vedere se il Papa sta con lo Stato o contro lo Stato, con il mercato o contro il mercato, con il capitalismo o contro il capitalismo. Per capire l’enciclica, bisogna partire dai principi di sempre, come il bene comune, l’equilibrio, la virtù, la fraternità e la reciprocità, la solidarietà, la sussidiarietà, tenendo presente che la Chiesa non ha una teoria da applicare alla realtà, ma parte dalla realtà e, soprattutto, dal soggetto umano. Questo sguardo permette a Benedetto XVI, come ha permesso ai suoi predecessori, un approccio realistico e competente ai problemi contemporanei. L’approccio che tiene presente la legge segreta del cristianesimo, quella dell’«et-et», cioè la capacità di includere tutti i fattori in gioco, senza estremismi o radicali «aut-aut». Per questo nessuno dei problemi oggi dibattuto è rimasto escluso dall’enciclica: dalla delocalizzazione alla valorizzazione di un’economia e di una finanza che non hanno come fine esclusivo il profitto, ma il profitto e il bene comune; dall’emergenza rappresentata dalle migrazioni alla salvaguardia dell’ambiente, fino alle sfide della bioetica, che entrano per la prima volta in modo corposo e articolato in un documento sociale, a indicare che tra i nuovi poveri oggi non ci sono solo gli affamati dei Paesi sottosviluppati, ma anche gli anziani e i bambini non nati.
È significativo – e si tratta di un’altra novità – che nella Caritas in veritate siano state citate per nome tutte quelle esperienze positive, dal non profit alla finanza etica, che mostrano come sia possibile non soltanto fare buoni affari, ma anche affari buoni. Esperienze concrete, già in atto, che partono dalla considerazione che la famiglia umana è, appunto, una famiglia. E che squilibri, ingiustizie, avidità a lungo andare si ripercuotono negativamente anche su chi (oggi) sta meglio. Da questo punto di vista, anche se l’enciclica ha avuto una gestazione più lunga del previsto a causa del precipitare della crisi con il tracollo della finanza americana, i suoi contenuti, e i contenuti del magistero papale, la precedevano e ne indicavano profeticamente gli immancabili sviluppi negativi, come peraltro dimostrano molte autorevoli analisi di studiosi i quali oggi ammettono che andavano ascoltati tanti allarmi lanciati dalla Chiesa nell’era della globalizzazione.

Papa Ratzinger chiede un cambiamento di mentalità, prima che di strutture; una conversione dei cuori. Perché la crisi può essere un’occasione per domandarci dove stiamo andando e quale mondo stiamo costruendo per i nostri figli.

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