Libri che valgono un’impresa

I n Italia l'editoria d’impresa ha alle spalle una grande tradizione. Dall’Olivetti alla Pirelli, dall’Eni alla Comit, sono numerose le aziende che hanno raccontato la propria storia attraverso il libro e le sue tipologie. Opere fuori commercio, a bassa tiratura, regalate alla migliore clientela e ai rappresentanti delle istituzioni più vicine, vantavano in genere le firme dei migliori fotografi, grafici e designer del Novecento, da Giuseppe Basilico a Marcello Dudovich, a Bruno Munari, ad Armando Testa. A questo filone, tanto fecondo quanto poco esplorato, è dedicata la mostra «Cibo & libri d’impresa», basata sulla raccolta del collezionista Claudio Midali (ex operaio della Breda di Sesto) e curata dal libraio antiquario Andrea Tomasetig, in collaborazione con il Comune di Melzo e il Sistema Bibliotecario Milano Est (fino al 27 giugno al Teatro Trivulzio di Melzo, tel. 02-95738856). L’originalità della mostra, quinta tappa del ciclo «Cibo di Carta», sta nel proporre una lettura della storia imprenditoriale italiana in chiave «enogastronomica», attraverso una selezione di cento pubblicazioni, alcune rarissime (soprattutto volumi giubilari, ma anche riviste, bilanci, opuscoli, manifesti) che affrontano il rapporto tra il libro e l’industria alimentare.
«Ho scelto un filone dell’editoria considerato a torto “minore”, ma che in Italia raggiunge vertici straordinari – spiega il curatore, Andrea Tomasetig -. Le aziende producono libri che sono un investimento d’immagine, svincolato da logiche di mercato e dalle vendite. Per cui non si risparmiano: chiamano pubblicitari e designer affermati, si avvalgono dei migliori collaboratori». Le opere esposte sono state selezionate dalla raccolta Claudio Midali, che con oltre 4.500 titoli rappresenta la più importante collezione privata sull’editoria aziendale del Novecento. Spiccano i capolavori grafici di Erberto Carboni, Plinio Codognato, Fortunato Depero, Marcello Dudovich, Attilio Rossi, Federico Seneca, Armando Testa. In un percorso che spazia dalla pasta Barilla ai formaggi Galbani, dal Martini alla colomba Alemagna, fino ai Baci Perugina, alla Nutella Ferrero, ai dadi Star o al caffè Lavazza, i più noti marchi industriali italiani si affiancano ad aziende agricole, del commercio e della ristorazione (il «Savini» e «Giannino» sono stati tra i primi ad «autocelebrarsi» con volumi propri). Ciascun libro racconta la storia di un’impresa, del prodotto, dei presidenti e degli operai che vi lavoravano. Scopriamo, per esempio, che un giovane Ugo Tognazzi, prima di diventare attore, era operaio presso l’azienda di salumi Negroni; che il Campari, all’origine, si chiamava «bitter d’Holland» («amaro d’Olanda») o che Jerry Scotti, testimonial del famoso marchio di riso, non aveva in comune solo il nome con il titolare della società produttrice ma, ironia della sorte, anche il luogo e la data di nascita: Pavia, 1956. Nel loro complesso, i libri d’impresa offrono uno spaccato dell’Italia di quegli anni, fissando in immagini e slogan i cambiamenti sociali in atto, dall’avvento dei consumi di massa fino alla nascita della pubblicità televisiva.

Soprattutto, raccontano come si è evoluto il gusto in Italia, ripercorrendo un secolo di storia del cibo: dal commercio ambulante (pochi sanno che fino alla prima guerra mondiale in piazza Duomo lavoravano venti «polentai») agli alimenti venduti sfusi nei negozi; fino al confezionamento (il primo a introdurlo fu l’azienda di riso Gallo), al sottovuoto (brevettato dalla «rivale» Scotti) e all’affermazione di una vera e propria industria del «made in Italy», che ancora oggi il mondo ci invidia.

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