Libri, moda, design: il grande scippo e la sfida di Milano

(...) Sono sacrosante proteste e osservazioni critiche di chi fa notare come le istituzioni vivano del rapporto con un tessuto produttivo e culturale, non trasferibile. E forzando le scelte si finisca solo per indebolire l'Italia nel suo insieme colpendola in uno dei gangli fondamentali. Dopo una ferma difesa del «meglio», però, si tratta di riflettere anche su che cosa serva per sviluppare «tutta» la produzione culturale milanese e nazionale.
Perché il punto è proprio questo: non c'è solo «l'esibizione» degli oggetti di cultura, c'è anche la loro produzione, che viene prima della diffusione dei «prodotti» e che implica anche «consistenze» (di pubblico per esempio) tali da garantire realistiche sostenibilità dei costi. Ormai tante magnifiche città italiane sono sedi di esibizioni artistiche di successo. Ma quante di queste «mostre» sono «prodotte», hanno alla base un'idea, una ricerca, danno vita a nuove visioni della storia dell'arte in rapporto con la più complessiva storia dell'umanità?
Per «produrre» una mostra e non solo «organizzarla», servono ricerche, istituzioni di riferimento (grandi musei, università), un mercato vivace, relazioni internazionali consolidate. Il visitatore che corre a vedere un mostra frettolosa di un artista di valore (magari anche una sola opera come ormai succede) ottiene certo un godimento estetico, ma una città, una comunità culturale crescono solo se partecipano a un progetto di ricerca.
Questo vale anche per il design: una cosa è se esponi alcuni prodotti, un'altra se lavori sistematicamente con un ambiente anche industriale. Insomma per una grande politica della cultura, oltre alla fruizione dei prodotti si tratta di considerare la ricerca e il lavoro che ne costituiscono la base. Ecco perché minare i centri produttivi di eventi culturali (ma anche sportivi) che esistono è azione distruttiva.
Però i centri di produzione devono crescere e possono farlo non solo in modo autonomo ma anche sinergico. E c'è un problema di «pubblico» per una produzione culturale talvolta non affrontabile su scala municipale. Prendiamo la Triennale che molto appropriatamente apre sedi in tutti i Paesi del mondo, perché non pensa di usare quel magnifico palcoscenico, così di fatto integrato a Milano, che è Venezia?
E senza spirito «colonialistico»: la Biennale Cinema è ancora oggi centro fondamentale della cultura cinematografica mondiale, non è solo un palcoscenico ma crea e stimola anche «un ambiente» che può, fecondandosi con una realtà produttiva come la milanese, mettere a frutto le sue potenzialità. Insomma si tratta di partire dalle attività produttive culturali per come la storia e l'ambiente concreto le hanno costituite per organizzare un sistema nazionale e non solo municipale, produttivo e distributivo.

Forse non è ancora iniziativa del tutto collaudata ma «Mito Settembre musica» offre un modello su cui riflettere, rispettoso delle produzioni «locali» ma anche dell'esigenza di creare un pubblico più vasto. Sì dunque a mostre di design a Venezia ma organizzate dalla Triennale, come sì a una ripresa di ricerca culturale cinematografica milanese guidata dalla Biennale.

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