Licenze e bugie

L’ex comunista dell’Emilia rossa, Pierluigi Bersani, batte il tecnico delle alte burocrazie, Tommaso Padoa-Schioppa (Tps), 10 a zero. Ieri dopo due mesi di chiacchiericcio, il governo Prodi ha infatti messo mano alla sua prima manovra di politica economica. Diciamolo subito: ha fatto bene sul tema delle liberalizzazioni, ma ha barato su quello dei conti pubblici.
Vediamo perché. All’indomani di un incontro con tutte le diverse forze sociali (mancava solo l’invito all’associazione dei golfisti in pensione) in cui il governo Prodi prometteva «massima concertazione» sui temi di politica economica, il ministro Bersani, senza concertarsi con nessuno e con un decreto legge, ha spalancato una porta di aria fresca nel nostro intricato sistema corporativo. Un blitz che infatti scontenta la gran parte delle associazioni di categoria. Staremo a vedere. Ci auguriamo che alla fine licenze dei taxi, farmaci nei supermarket, auto senza notai, e maggiore concorrenza in professioni, banche e assicurazioni vengano confermate.
Ma, dicevamo, il governo ha barato sui conti pubblici. E spiace che vittima o complice di questa manovra sia stato Padoa-Schioppa, ministro tecnico dell’Economia. La questione è molto semplice. L’impatto sul deficit del 2006 delle politiche approvate ieri dal Consiglio dei ministri è di 1,1 miliardi di euro. Per essere chiari lo 0,1 per cento dello stock di ricchezza prodotta in un anno in Italia. Ma insomma il ministro non ci aveva detto pochi giorni fa che eravamo in una situazione drammatica come quella del 1992? L’anno della manovra di Amato da 92mila miliardi di lire, del prelievo forzoso dei conti correnti. Il ministro non si era premurato di fare un controllo sulla finanza pubblica con la Commissione Faini, le cui conclusioni sembrarono apocalittiche, riguardo lo stato dei nostri conti? Se davvero la situazione fosse stata così disastrosa perché procedere ad una correzione dei conti pubblici per quest’anno del solo 0,1 per cento? Domanda retorica. A cui si può rispondere in soli due modi. O i conti non erano disastrosi, o si rimanda il problema. Scegliete pure il male minore.
All’interno del governo Prodi la presenza di Bersani e Tps confortava anche i settori più moderati dell’opinione pubblica. E nella sostanza la mini manovra sui conti di ieri continua a confortare per la mancanza di intenti punitivi che Tps ha nei confronti dei ceti produttivi del Paese. Eppure restano alcune questioni importanti sul tappeto. Ma che riguardano complessivamente il governo Prodi.
L’esecutivo ha deciso di gettare a mare la concertazione, quando si tratta di introdurre salutari iniezioni di liberalizzazione che scontentano gli interessi organizzati. Ben vengano, lo si è già detto. Tanto più che un governo nei suoi primi giorni di vita può impostare manovre impopolari che gli sarebbero impossibili a ridosso di una competizione elettorale per la sua riconferma. Ma allora perché non si procede a schiena dritta anche con la Tav, nel qual caso invece si vuole concertare anche con il comitato d’angolo? Ma allora perché sulle pensioni non si vuole toccare nulla senza sentire e strasentire qualsiasi sigla sindacale? Anzi si vuole demagogicamente rallentare il processo introdotto dal passato governo.

Perché quando si parla di cuneo fiscale, è d’obbligo trovare l’accordo con la Confindustria? Perché quando si deve prendere una decisione sulla società quotata Alitalia è indispensabile (Bersani dixit) concordarlo con i sindacati?
Si ha quella sgradevole impressione che l’aria fresca entri da un solo pertugio e raffreddi solo alcune categorie. E la porta grande, l’ingresso nobile, fatto da grandi imprese e sindacati venga tenuta ben serrata.

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