Lieberman: «Deportiamo i palestinesi come fecero i turchi a Cipro con i greci»

Ma Olmert prende subito le distanze. Il Papa: «Basta sangue a Gaza, occorre un negoziato serio e concreto»

Gian Micalessin

Delle due l’una. O il premier israeliano Ehud Olmert non ha intenzione di affrontare scelte strategiche, o l’incarico affidato all’estremista Avigdor Lieberman è solo nominale. Di certo il biglietto da visita offerto dal 48enne nuovo vicepremier, responsabile delle scelte strategiche, non è il migliore per chi deve misurarsi sulla scena internazionale.
Nella sua prima intervista a un giornale straniero dopo l’entrata nel governo, Lieberman inanella un rosario di dichiarazioni che vanno dall’elogio della deportazione etnica all’apologia dell’apartheid. E 24 ore dopo propone al governo di eliminare il premier palestinese Ismail Haniyeh nel caso Hamas si renda responsabile della morte del caporale israeliano rapito lo scorso giugno. A dar retta allo scatenato politico di origini moldave, indiscusso leader di Yisrael Beitenu, il partito preferito dagli emigrati russi, Israele non solo deve diventare uno Stato ebraico omogeneo «scambiando» almeno una parte della sua popolazione araba, ma deve seguire l’esempio di Cipro dove, dopo il 1974, la popolazione d’origine greca venne deportata con la forza dalle zone occupate dall’esercito turco.
Quanto basta per preoccupare Olmert che, due settimane dopo aver aperto le porte all’imbarazzante alleato di governo, è costretto a prenderne le distanze. Almeno verbali. «Le opinioni di Lieberman sono le sue opinioni e non quelle del governo», sbotta il premier. «Lieberman sa che io difendo la piena uguaglianza di diritti per gli arabi israeliani. Non l’ho mai nascosto, e fino a quando sarò primo ministro questa resterà la politica del governo».
Quelle «opinioni», messe nero su bianco dal Sunday Times, risuonano ancor più pesanti in una domenica scandita dall’angoscia di papa Benedetto XVI per la situazione di Gaza, dove dall’offensiva israeliana iniziata mercoledì si contano 50 morti palestinesi, quindici dei quali civili. Affacciandosi su San Pietro dopo l’Angelus, il pontefice dichiara di seguire «con viva preoccupazione» il «grave deteriorarsi della situazione nella Striscia di Gaza» e di sentirsi «vicino» ai civili. Per rendere più «politico» il suo appello, il Papa aggiunge di pregare perché «le autorità israeliane e palestinesi» e le nazioni che hanno «particolare responsabilità nella regione si adoperino per far cessare lo spargimento di sangue» e riprendere un «negoziato diretto, serio e concreto».
Parole lontane anni luce da quelle di Lieberman, che sfoderando i toni usati per conquistare l’immigrazione russa confessa di pensare seriamente a uno «scambio di popolazioni e territori per creare uno Stato ebraico omogeneo». Le sue parole ricalcano l’idea germogliata in alcuni settori della destra ebraica di scambiare i arabi villaggi del nord della Galilea con le colonie della Cisgiordania. Quella «soluzione», nella logica dei suoi sostenitori, a cui poco importa della disponibilità degli arabi israeliani a rinunciare alla loro cittadinanza, garantirebbe la perfetta omogeneità dello Stato ebraico e del futuro Stato palestinese.
Peggio dell’idea sono le parole usate da Lieberman per illustrarla. «Le minoranze sono il più grande problema al mondo – spiega il vice premier israeliano -... Cipro è il modello migliore. Prima del 1974...

c’erano frizioni, spargimento di sangue e terrore, dopo il 1974 con tutti i turchi da una parte e tutti i greci dall’altra si è ottenuta stabilità e sicurezza». E senza scomporsi davanti alla domanda dell’esterrefatto giornalista sulle deportazioni forzate migliaia di greci, Lieberman replica che «il risultato finale a Cipro è stato migliore».

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