Pechino - Due minuti per ritrovare la ragazza dei sogni d’Italia. Due minuti per abbandonare la diva e ritrovare la divina. Per trasformare la latta in oro. Vista sul podio, medaglia d’oro al collo, Federica Pellegrini era finalmente una ragazza felice, senza smorfie e tacchi a spillo, dolcemente bambina nel cantare e ritmare Fratelli d’Italia. Serenamente figlia quando ha telefonato a mamma e papà per sentirsi ripetere «Cento volte brava!». E poi ammettere: «Era quella la telefonata che volevo». Questa è la campionessa che il nuoto ha allevato e mamma ha creato. Questa la donna che Kobe Bryant ha chiesto di conoscere, mentre stava accucciato nelle tribune del Cube, che il fidanzato si tiene stretta a colpi di mazzi di rose, che gli sponsor vogliono «sposare». E alla quale Giovanni Malagò, presidente della sua società, ha inviato tanti sms (Lui: «Solo d’istinto». Lei: «Promesso») in attesa di regalarle, forse, una Ferrari. «Magari!», sospira lei mentre parla, celebra, ricorda, in un angolo della sala stampa, respira a pieni polmoni quel sentirsi vincente che, tante volte, le era mancato. «Sarebbe niente male passare dalla 500 alla Ferrari». Leggi Federica e ripensi a Novella (Calligaris). Stessa tempra, stessa voglia di traversare l’acqua e sfondare le avversarie. Dici Pellegrini e il ricordo divaga. Compare la soubrettina fatta in casa che si autodefinisce «diva umile» e che la mamma battezza lunatica.
Qualche volta da prendere a schiaffi. «Un momento ride, un altro è intrattabile. E io le dico: chi ti credi di essere: la Pellegrini?». Ma ti fa venir la pelle d’oca, quell’altra che compare in piscina, occhialini e cuffia, avvolta in due costumi per una sorta di pudore («Quello da gara ogni tanto si rompe, volevo evitare che di far vedere tutto»), terribilmente seria e concentrata: parte dai blocchi e sembra un arrivano i nostri! Solca l’acqua come una silurante e, bracciata dopo bracciata, ti fa annusare profumo di record. Compare all’ultima vasca e comincia la sofferenza sua e lo spettacolo che ti fa gustare l’impresa: la slovena Isakovic sempre più vicina, sempre più sotto. E lei sempre più violenta nel suo calpestar l’acqua. «Ma io sono testarda come tutti i veneti. Stavolta ho detto: non passi. Rispetto alle altre Olimpiadi sono cresciuta». La slovena è rimasta dietro d’una manciata di centesimi. La divina Fede si è regalata un secondo record del mondo su questi 200 metri che diventeranno il gioiello di famiglia: 1’54”82, 63 centesimi meno dell’altro, conquistato due giorni prima.
Donna record dai due costumi: alla faccia delle ultime teorie del nuoto. Un modo in più per non farsi dimenticare. E per cancellare tutte quelle storielle sui bioritmi mattutini. Una medaglia d’oro fa i miracoli e spinge alla sincerità. «Nei 400 è stato un problema di tattica: la forma c’era e l’ho dimostrato. Ho il pregio di saper reagire. Avevo rabbia e l’ho fatta diventare determinazione. Per questo dedico la medaglia a me stessa e a quelli che mi vogliono bene».
Fra questi anche Alberto Castagnetti, il tecnico che l’ha presa qualche anno fa ed ha promesso a se stesso di portarla all’oro. «Lui geloso più di mio padre, ma che considero un secondo padre. Molto protettivo», dice lei. Castagnetti aveva scommesso sui 400 metri, scommessa persa. Federica ha trovato la rivincita con se stessa nei 200. Aveva perso l’oro ad Atene. «E adesso mi sono rifatta, anche se molti hanno fatto credere che l’argento fosse una delusione. No, era una soddisfazione».
I musi lunghi, lacrime per un’attesa delusa sono state tante. La vita in rosa fa dimenticare. Non fino in fondo. «Gli alti e bassi ci sono stati. Però devo ringraziare quei momenti: mi hanno portato qui». Ieri, da casa, le hanno detto: ci hai fatto venire il batticuore. Lei ha risposto: «Ho messo l’istinto e la mia testardaggine». Si era data lo smalto solo su tre dita: sorta di scaramanzia che accompagna le sue bizze fra tatuaggi e piercing. Ieri poteva far la diva ed, invece, ha fatto sempre la campionessa. È stata donna solo quando ha parlato del suo amore, che poi è Luca Marin.
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