Dal nostro inviato a L'Aquila
C’è la scala condominiale esterna, che dà un tocco da casa popolare. Ma c’è anche un patio ben curato, che fa tanto villa padronale. La signora Anita Fantozzi ricorda quel giorno d’autunno di due anni fa e ancora si commuove: «Chi se l’aspettava un appartamento così ». Entra e mostra le meraviglie consegnatele chiavi in mano dai tecnici della Protezione civile quel 24 novembre 2009: il soggiorno, ampio e luminoso, esposto su due lati. Il disimpegno che va verso la zona notte. Le due camere da letto. Il bagno.«Devo essere sincera?Potevano spendere pure di meno. Ci hanno trattato benissimo. Guardi qua». E prosegue la visita guidata: la porta d’ingresso è blindata, le altre, in legno, sono molto eleganti. Le rifiniture non sono di pregio, ma non sono nemmeno improvvisate. Potremmo essere in un palazzo della prima periferia romana o milanese, invece siamo nella new town di Sassa, sobborgo di quella città diffusa come un pugno di coriandoli in volo che è L’Aquila. Il 6 aprile 2009 la città fu schiacciata da un terremoto violentissimo: centomila persone, fra il capoluogo e i comuni circostanti, si ritrovarono in mezzo alla strada; fra ottobre e novembre, a marce forzate e a tempo record, le new town erano pronte e le tende chiuse e messe in soffitta. Sei mesi per superare l’emergenza e realizzare decine di palazzine su tre piani, sparpagliate fra i quartieri e le frazioni che compongono L’Aquila: Sant’Antonio,Coppito,Preturo, Camarda,Sant’Elia.Le diciannove new town formano una collana che, sia detto senza retorica, il governo Berlusconi può mettere al collo con orgoglio. Non era mai capitato nella disgraziata storia delle disgrazie italiane e nemmeno in quella delle calamità europee che la ricostruzione viaggiasse su binari da Alta Velocità giapponese. Quattromilatrecento alloggi e dodicimila posti letto offerti agli aquilani prima che l’inverno aprisse le sue gelide fauci.
I Fantozzi, come tante altre famiglie, lo sanno bene.«Osservi bene – spiega il signor Donato, insegnante in pensione – sopra la porta d’ingresso ci sono le luci di posizione. E poi ci sono i rilevatori per eventuali perdite dell’acqua e fughe di gas. E poi c’è il videocitofono.Devo essere onesto: non solo l’emergenza ha funzionato, ma queste abitazioni vantano dettagli raffinati. Io, a casa mia, la casa oggi disastrata nel centro storico dell’Aquila, non avevo certo il rilevatore o la luce d’emergenza. Quella che non ha funzionato, almeno fino a oggi, è la rinascita della città vecchia». E Donato si fa scuro in volto. Certo, si viene assaliti dall’angoscia a passeggiare fra le strade transennate vicino al Duomo, certo si soffre a vedere quei portoni antichi sprangati, quei negozi che sembrano orbite vuote di un cieco, quei pali che reggono come protesi edifici ormai incapaci di reggersi da soli, manco fossero anziani a fine corsa. Sì, la rinascita dell’Aquila è congelata fra beghe politiche all’ombra del campanile, manie di grandezza e piccole furbizie di tecnici comunali inadeguati all’immane compito, mancanza di soldi e carenze, le eterne lentezze e farraginosità, dellamacchinaburocratica.
Ma quella pagina mortificante non oscura quell’altra,a suo modo epica, scritta in pochi mesi dal governo di centrodestra, fra la primavera e l’autunno del 2009. I Fantozzi, padre, madre e due figli, stanno in sessantaquattro metri quadrati. Si sa, gli spazi non bastano mai e dopo due anni ce ne vorrebbero di più, molti di più. Ma in quelle stanze si vive dignitosamente. Fuori ci sono gli ascensori, perfettamente funzionanti, e i bidoni, ben cinque, della raccolta differenziata: vetro, carta, plastica, umido, indifferenziato. «A novembre 2009 – spiega Sonia Fiucci, dipendente dell’Asm, la società partecipata dal Comune che si occupa di ambiente – gli aquilani delle new town già si cimentavano con la raccolta differenziata, anche se naturalmente non stavamo a multare chi sbagliava». Dentro, la premiata coppia Berlusconi- Bertolaso, un Bertolaso con pieni poteri, ha fornito agli abitanti non un kit di sopravvivenza, ma un corredo di accessori che non sfigurerebbe in un salotto borghese: set di asciugamani firmati Lanerossi, accappatoi, posate e stoviglie Ginori. Frigoriferi supercapienti, lavastoviglie digitali, lavatrici di marca Rex. E televisori Samsung a schermo piatto. Dal guardaroba spunta perfino una giacca da camera bordeaux, di quelle da indossare prima di mettersi in posa davanti al pennello del ritrattista.«Una signora – prosegue Sonia Fiucci –un’immigrata, un giorno ha chiamato i nostri tecnici protestando perché la lavatrice non funzionava. L’esperto è andato a casa, in una new town, e ha scoperto che la l’elettrodomestico era ancora sigillato, avvolto nel cellophane. Allora ha aperto la lavastoviglie e ha trovato i panni stipati all’interno. Capisce? La donna non aveva mai visto una lavastoviglie».
A Sassa ci si lamenta perché i prati intorno al nuovo insediamento trasudano umidità, perché crescono le erbacce e perché serve la macchina, o l’autobus,per raggiungere il parrucchiere o il supermercato. Proteste legittime, anzi sacrosante, ci mancherebbe, ma in fondo sono le stesse critiche che si possono elencare in un quartiere della capitale o di Torino. Qua, invece, siamo in un cratere sismico e le case sono venute su, fra i morti e i calcinacci, lottando contro il tempo e mille problemi da prima linea. «Pensi – aggiunge la signora Anita – che nel frigoabbiamotrovatoanchelabottiglia di spumante ».«Ma no –la corregge ridendo la figlia Patrizia, un impiego alla Forestale – quella ce l’ha portata il vicino. Lo champagne l’hanno fatto trovare solo a settembre, quando è venuto Berlusconiper l’inaugurazione dei primi villaggi ». Pazienza.
Si può anche perdonare l’assenza delle bollicine quando un’intera città è stata fatta a pezzi da un’invisibile clava. La signora Giuseppina, pensionata sola e oggi residente nella new town di Sant’Antonio, i conti con il passato e i paragoni con la storia li sa fare molto bene: «Io vengo da Avezzano, ci sono ancora le baracche del terremoto del 1915. Qua c’è tutto quello che serve per vivere, e vivere bene».C’è,anzi c’era. «Di Berlusconi mi è rimasto un coltello che dev’essere sfuggito alla famiglia che prima occupava questi locali. Si sono portati via tutto, tutto quello che potevano. Piatti, zuppiere, bicchieri, asciugamani. Il tavolo e le sedie, il ferro da stiro. Hanno lasciato solo la cucina, la lavatrice, quello che per fortuna non potevano sradicare. E poi quel coltello».
Sul pianerottolo c’è un cartello che propone uno scambio: «Offro casa con tre balconi assolatissimi, ampio soggiorno, due camere e due bagni».Da Preturo o da Coppito a Sant’Antonio e viceversa. Dopo trentasei mesi e la diaspora dei primi giorni, si tenta di tornare alla normalità. E dal 1 gennaio 2012 dovrebbe iniziare anche un nuovo corso dal punto di vista contabile. Finora la signora Anita o la signora Giuseppina hanno pagato qualche bolletta volante. Qua e là. A intermittenza. Con l’anno nuovo i condomini dovranno saldare acqua, luce, gas regolarmente, come nella vita precedente. Ma rimarrà la grande distinzione, sia pure virtuale, fra proprietari e affittuari: «Chi aveva una sua casa –aggiunge Fiucci –risulta padrone anche nelle new town, gli altri pagheranno un canone». Poco più che simbolico: due euro al metro quadro».
Molti temono che questo sia un modo per dimenticare i palazzi sventrati. E per seppellire definitivamente la vecchia città che non vuol morire. Molti scalpitano per tornare nelle abitazioni lesionate, semicrollate, sfregiate. Matuttisanno che qua, nelle new town, si sta senza il terrore del drago: la scossa improvvisa. Qua tutte le costruzioni, pur erette di volata, hanno requisiti di sicurezza doc: poggiano su piastre antisismiche tarate sulle peggiori previsioni. Il segreto sta nei pilastri che riempiono il piano seminterrato. E fra quelle colonne sono disegnati i posti macchina che fanno tanto parcheggio multipiano. Pare di essere sotto un grande magazzino e non nelle viscere di una tragedia ancora fresca.
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