L'intervista plausibile/"Io, Piselinho, faccio gol per tutti e per nessuno"

Ha 27 anni, è ambidestro, ha giocato anche in Norvegia. E custodisce gelosamente un segreto. Ecco chi è il nuovo attaccante "made in Brazil" che sta arrivando nel nostro campionato. O no?

Per presentarvelo, qui non useremo il suo vero nome, ma quello fittizio di Piselinho, «nom de plume» che, fra l'altro, gli calzerebbe a pennello. La sua storia è, più o meno, la solita storia da «favela»: povertà appena sopra la linea di galleggiamento della sopravvivenza; famiglia numerosa; promiscuità; prostituzione; seduzioni criminali sempre in agguato. Poi, il lieto fine, con il riscatto sociale (e soprattutto economico) per mezzo del pallone. Chissà quante volte avete ascoltato o letto roba del genere.
Piselinho, tuttavia, non è un calciatore come tutti gli altri, e anche sul suo riscatto sociale ci sarebbe da discutere, come vedremo in seguito. Diciamo che è ambidestro in due sensi. Nel senso ben noto agli appassionati di «futbol» (pronuncia «fugiboli»), poiché tratta bene l'attrezzo del mestiere con entrambi i piedi; e in un senso molto... diverso. Egli (o ella) è quel che si definisce un transessuale attivo.
Diciamo la verità, come i melodrammi ipocriti sui calciatori partiti dalle baracche brasiliane e arrivati ai superattici europei, anche quelli sui transessuali hanno stufato. Sui giornali e soprattutto in tv, da qualche settimana - per i motivi che sappiamo - si sciorina a tutte le ore un campionario di merce umana fatta di silicone e sottintesi, pelurie non del tutto stroncate e voci roche, rossetti color carminio e cosce... Cosce da centravanti, appunto. Come quelle di Piselinho.
Ora, perché aggiungere Piselinho alla stucchevole galleria trans-nazional-popolare? Per un motivo molto semplice. Piselinho, durante l'imminente mercato calcistico di gennaio, verrà messo sotto contratto da una società della nostra serie A, diventando così il primo transessuale del campionato italiano. Non sappiamo ancora quale squadra si avvarrà della tecnica raffinata e dell'incedere felino dell'attaccante (e se anche lo sapessimo non lo riveleremmo ora: darebbero a noi la colpa, qualora l'affare saltasse all'ultimo momento), ma la notizia è certa. Quindi è il caso di presentare, in esclusiva, al pubblico italiano il nuovo eroe. O la nuova eroina. L'abbiamo raggiunto telefonicamente a Rio de Janeiro, dove da un mesetto si sta allenando da solo in vista della nuova avventura europea.
Scusa se te lo dico, ma qui in Italia non ti conosce nessuno. Che tipo di giocatore sei? Partiamo dal ruolo...
«Be', sono centravanti. Però all'occorrenza do una mano dietro. Soprattutto sulle palle inattive».
Pregi e difetti?
«Ho un buon tiro da fuori e un buon dribbling, anche se non sono velocissimo. D'altra parte, sono alto quasi uno e novanta».
Con i tacchi o senza?
«Senza, senza (ride)...».
In quale modulo ti trovi meglio?
«Do il meglio come unica punta con tre compagni alle spalle. Diciamo che è un assetto molto brasiliano. Tipo quello del Milan da voi. Ecco, sono un tipo alla Borriello. Bellissimo ragazzo, fra l'altro, ma purtroppo...».
Purtroppo che cosa?
«... purtroppo è molto diverso da me quanto a gusti fuori dal campo».
Proseguiamo. La tua carriera?
«Ho iniziato come difensore centrale nelle giovanili di una squadra di serie B, in Brasile. Poi il mio allenatore di allora mi trasformò "letteralmente" in attaccante».
In che senso «letteralmente»?
«Lui non era soltanto un bravo allenatore. Era soprattutto un eccellente chirurgo plastico. Fu "o' Professor" a farmi diventare ciò che sono. Il calcio per lui era un passatempo. Abbiamo lavorato in campo sull'agilità e sulla potenza, e in clinica sul viso, il seno, le natiche...».
Stai dicendo che la femminilizzazione del tuo corpo è coincisa con il passaggio dalla difesa all'attacco?
«Sì, ma non solo».
Che altro?
«Purtroppo, oltre che ruolo, ho dovuto cambiare squadra per quelle che voi chiamate "cause di forza maggiore" (fa una pausa, quando riprende a parlare, la voce è incrinata dalla commozione). Insomma... il presidente non apprezzava la mia storia d'amore con un compagno. E me lo fece capire con un paio di visite dei suoi scagnozzi in casa mia, a notte fonda... (piange).
E così...
«... e così (si soffia rumorosamente il naso) me ne sono andato».
Dalla squadra.
«Dalla squadra e dal Brasile. La mia famiglia capì. Per me era ora di cambiare veramente vita. Sono andato in Norvegia».
In Norvegia?!? E che ci fa un calciatore brasiliano transessuale in Norvegia?
«Semplice (ride, una risata di gola, potente, liberatoria), fa la centravanti in una squadra di calcio femminile. Oltre che, per guadagnarsi da vivere, il commesso in un negozio di dischi. Non hai idea di quanto da quelle parti amino la musica sudamericana. Ne vanno pazzi...».
Ma come hanno fatto a prenderti in una squadra femminile? Tu sei... insomma... sei ancora... dotato? O no?
«Certo che lo sono (altra risata, ma questa volta composta, femminile). Però la Norvegia è un Paese civile. Non ti guardano né in faccia, né dentro la patta dei pantaloni, prima di giudicarti. Devi soltanto fare il tuo dovere in campo. Così sono andato avanti con il mio... piccolo segreto per ben tre anni».
E com'è andata? In campo e fuori, intendo?
«Alla stragrande. Intanto, ho fatto una valanga di gol. Poi le compagne e l'allenatrice con me si sono sempre comportate in modo fantastico. Mai un litigio, mai una chiacchiera. Un rapporto soddisfacente per tutte da tutti i punti di vista. Come potrai ben immaginare, l'unico grosso problema era il freddo. Ma la buona compagnia scalda il cuore e anche il resto... Pensa che una volta venne a trovarmi "o' Professor", approfittando di un convegno a Oslo. Non ti dico l'accoglienza da parte della squadra... È stato forse il più bel giorno della mia vita».
Capisco. Però poi sei tornato in Brasile. Perché?
«Avevo voglia di rimettermi alla prova nel calcio brasiliano. E di rivedere i miei, ovviamente. Quindi due anni fa sono tornato. Però...».
Però?
«... però con la mia famiglia s'era incrinato qualcosa. Sai, a volte la lontananza fa strani effetti».
E... calcisticamente?
«Non bene nemmeno in campo. I successi in Norvegia giocavano contro di me. Notavo diffidenza, se non ostilità. Per farla breve, ero già stato rifiutato dal calcio maschile, e quello femminile... non voleva saperne di me».
Fammi capire. C'è una squadra della serie A italiana che non soltanto... scusa la franchezza... va a comperare un trans, ma addirittura un trans che viene da due anni di inattività?
«Non proprio».
Come «non proprio»? Sì o no?
«Sì e no. Sai, io sono un tipo un po' originale...».
Questo l'avevo intuito...
«Sono andato ad aprire una scuola di calcio in Amazzonia (ride ancora di gusto)».
Una scuola di calcio in Amazzonia?!?
«Diciamo che il calcio è stato un pretesto. O se vuoi un piacevole contorno. Mi sono unito a un gruppo di volontari di una organizzazione non governativa che lavora a un progetto molto bello con una tribù. È stata un'esperienza meravigliosa. Quella gente non ha pregiudizi verso uno come me, mi ha accolto a braccia aperte. E qualcuno, non ci crederai, ci sa fare anche con il pallone tra i piedi».
Ma come hanno fatto, i dirigenti della tua nuova squadra, a scovarti in Amazzonia?
«Il cuoco del nostro gruppo è italiano. E si sa, tutti gli italiani hanno il calcio nel cuore. È stato lui a parlar bene di me a qualcuno e così...».
E così, a 27 anni, stai per arrivare da noi.
«Pare proprio di sì».
Ma lo sai che in che casino ti vai a mettere? Ci hai pensato bene?
«Ci ho pensato su tre mesi. E alla fine ho detto di "sì". Al presidente ho posto una sola condizione».
Quale?
«Invece di pagarmi, deve finanziare i miei amici dell'Amazzonia».
Quanto?
«Bastano e avanzano 50mila euro al mese. Ho firmato un triennale...».
Ma tu quindi giocherai (se giocherai... permettimi di dubitarne) gratis?
«Dimentichi che io non sono uno qualsiasi. Io sono... come mi chiami, in questa intervista?».
Piselinho.
«Piselihnooooo!!!! (ride ancora) Bellissimo, complimenti. Ecco, io sono Piselinho. I miei nuovi compagni già mi tempestano di telefonate. Ma chi gli avrà dato il mio cellulare? E poi ci sono i locali...

le serate... La moglie del presidente, inoltre, che è qui con me in questo momento, ma non posso passartela perché sta facendo la doccia, è una signora di gran classe».
Auguri, Piselinho.
«Obrigado».

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