"L'Italia fa le barche. Poi le perde"

Anton Francesco Albertoni, presidente di Ucina-Confindustria Nautica torna a parlare degli "arrembaggi" ai megayacht e spiega perché il blasonato "Royal" Lloyd Register inglese (istituito nel 1764) è il preferito dagli armatori di tutto il mondo

"L'Italia fa le barche. Poi le perde"

A chi giova? Certamente non all’immagine di un setto­re che sta tentando di risalire la china, né al business che il turismo nautico può genera­re. Né tampoco all’intero Pae­se. Ma allora, cui prodest? È questa la domanda, senza ri­sposta, che in molti si fanno do­po gli spettacolari «arrembag­gi » ferragostani agli yatcht di Vasco Rossi e Massimo Boldi, ultimi in ordine di tempo do­po il clamoroso sequestro del «Force Blu» di Flavio Briatore. Se lo chiedono in molti e, soprattutto, se lo chiede il nume­ro uno della nautica italiana, Anton Francesco Albertoni.
Presidente, è un’offensiva senza precedenti...
«Bella domanda. Non ho cer­tezze, ma è probabile che in un momento difficile il gover­no voglia mostrare i muscoli. È un suo diritto-dovere. Con grande ritorno di pubblicità. È una risposta brutta, triste. Ma­gari non è la più giusta, ma è quella più facile. Però sbattere il mostro in prima pagina, a Ferragosto, paga molto. In Italia spesso ci facciamo del male da soli. Sappiamo bene che co­sa era successo con il leasing nautico, rimasto paralizzato per un anno a partire dalla me­tà del 2008, quando sulle socie­tà finanziarie arrivò il ciclone Agenzia delle Entrate: accerta­menti a raffica per oltre 200 mi­lioni di euro. Risultato: rubi­netti chiusi e paralisi del mer­cato. I “chiarimenti” sono durati un anno, fino al luglio 2009! E non mi risulta che tutti quegli accerta­menti abbiano prodotto risultati apprezzabili».
Bandiere e registri navali... Per­ché l’inglese Lloyd Register e il francese Bureau Veritas han­no un «fascino» particolare?
«Esistono due ambiti ben distinti, uno tecnico che riguarda la costru­zione e la successiva scelta della bandiera da parte dell’armatore, e uno fiscale. Quando l’armatore firma il contratto con il cantiere sceglie, nel 90% dei casi, l’Ente in­gl­ese perché il regolamento tecni­co è molto più semplificato sia per il cantiere sia per l’armatore. Ma è anche l’Ente più blasonato che opera dal lontano 1764: una gran­de tradizione dal punto di vista tecnico che tranquillizza l’armato­re. Ma è da lì che nascono i proble­mi, perché da lì si passa alla ban­d­iera inglese e si adotta quella nor­mativa: dalla scelta degli equipag­gi all’assunzione del comandante e altro ancora. L’Italia vara le bar­che più belle del mondo e poi le perde... E perde anche gli equipag­gi che sono poi quelli che scelgo­no dove tenere la barca, dove fare i lavori invernali. Così perdiamo anche l’indotto della manutenzio­ne... Tutto questo va a incrociarsi con il nodo fiscale che non tocca solo queste imbarcazioni».
Spesso, però, l’armatore è di fatto una società.
«La maggior parte di queste bar­che sono intestate a delle società. La normativa europea - articolo 8 bis - è molto chiara. Se in Italia si stanno aprendo diversi contenzio­si fra utilizzatori, società di noleg­gio e Agenzia delle Entrate, signifi­ca che qualcosa non funziona. Ucina ha segnalato da tempo que­ste discrasie all’Agenzia delle Entrate e delle Dogane perché le cir­colari esplicative lasciano spazio a libere interpretazioni. Non so co­me questi contenziosi andranno a chiudersi. Non escludo che qual­cuno abbia approfittato dell’area grigia... Noi non difendiamo i fur­betti, ma diciamo che non si può demonizzare un intero settore. Ci sono fior di società che lavorano bene e nella piena legalità».
C’è qualche società irregolare e qualche casa irregolare...
«Questo non lo so. Ma so che nel nostro settore non c’è più evasio­ne che in altri. È evidente che quando si parla di centinaia di mi­gliai­a di euro per un noleggio setti­manale si fa pura demagogia. Se affitti una villa di 700 metri qua­drati a Ibiza piuttosto che a Porto Cervo le cifre sono identiche a quelle dell’affitto di un mega­yacht. Non vedo perché ci si deb­ba scandalizzare di una cosa anzi­ché dell’altra. È pur vero che in fondo noi siamo solo i costruttori, ma è altrettanto vero che un mer­cato interno vivace aiuterebbe an­che noi. Parlo da contribuente: avere un’Italia così bella ma sot­toutilizzata come solo noi sappia­mo fare, è davvero sciocco».


Soluzioni a breve?
«Sediamoci a un tavolo ed esami­niamo le normative degli altri Pae­si comunitari, nostri concorrenti. Poi scegliamo una linea comune. L’Italia non può mettersi a scrive­re norme per conto suo».

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