Los Roques, italiani dispersi I misteri del volo fantasma

Venezuela, ancora nessuna traccia della carcassa dell'aereo né dei corpi dei turisti scomparsi. Dopo 40 giorni blitz della polizia negli uffici della compagnia aerea Transaven

Los Roques, italiani dispersi 
I misteri del volo fantasma

Non ci sono tracce, non ci sono speranze. C’è mistero e ci sono troppe voci. I 14 scomparsi nel mare di Los Roques alimentano sussurri e leggende. I corpi degli otto turisti non sono mai stati trovati, la carcassa dell’aereo non è stata individuata. Buio. Pesto, totale, cieco. In questa storia c’è un vuoto troppo grande e troppe cose che vanno ancora spiegate. Più avanza il tempo, più i parenti degli scomparsi vogliono risposte. Quelle risposte, invece, mancano. Allora crescono i dubbi e si alimentano strane ipotesi. L’ultimo sviluppo è di venerdì scorso, quando la polizia venezuelana ha compiuto una perquisizione a sorpresa negli uffici della Transaven, proprietaria del turboelica caduto. Il pm José Gregorio Morales Perera ha dichiarato che l’azione era rivolta ad accertare le eventuali responsabilità. Perché fare una perquisizione solo dopo 40 giorni dall’incidente? Perché la procura venezuelana, che ha più volte ribadito che il bimotore è senza dubbio in fondo al mare, a una profondità compresa fra i 600 e 1000 metri, ha mantenuto aperto parallelamente un altro fascicolo sull’accaduto per sequestro di persona?

Ripercorrendo con ordine tutta la vicenda fin dall’inizio, sono troppe le domande senza risposta. Tarda mattina del 4 gennaio 2008: il pilota del Let 410 di fabbricazione ceca annuncia alla torre di controllo dell’aeroporto di Los Roques di avere entrambi i motori fuori uso e di tentare un ammaraggio. Comunica di essere a 25 miglia dall’isola di Los Roques e all’altitudine di 3mila piedi. Ma: non ci sono tracciati radar che convalidino questi dati; il 4 gennaio il sistema radar dell’aeroporto di Maiquetia (Caracas) era in fase di riconversione a un nuovo sistema. Quindi non è stata effettuata alcuna registrazione del tracciato. Non solo: l’aeroporto di Gran Roque non ha sistemi di registrazione audio. Dell’appello del pilota restano solo le trascrizioni cartacee effettuate dal personale della torre. Le ricerche scattano subito, in condizioni meteo ottimali: nessun avvistamento. Nessuna macchia d’olio, nessun resto, nessun cadavere. L’aereo, vecchio di 21 anni, può davvero essersi inabissato subito senza rompersi all’impatto, nonostante abbia infranto il pelo dell’acqua a oltre 180 chilometri orari? E perché i familiari di Annalisa Montanari, una delle due amiche bolognesi a bordo dell’aereo, sostengono che nei giorni successivi il cellulare della donna suonava? L’aereo, che non era neanche pressurizzato, si sarebbe inabissato intatto, senza far entrare l’acqua? Ed è possibile che un cellulare abbia campo a 600 metri di profondità? Passano i giorni, le ricerche continuano senza risultati fino al 13 gennaio, quando sulla spiaggia di Adìcora, a 157 miglia dal punto del presunto schianto in mare, viene recuperato il cadavere di Osmer Avila, 37 anni, copilota dell’aereo. Come è morto? Perché solo lui è stato ritrovato?

Le autorità di Caracas sostengono che la morte è avvenuta per «lacerazione del cuore e fratture multiple della cassa toracica per il colpo ricevuto durante l’impatto in mare».

Perché nonostante i numerosi mezzi impiegati il corpo è stato trovato solo dopo 9 giorni? E perché un militare avrebbe riferito a un reporter del Quotidiano Nazionale che Avila sarebbe sopravvissuto all’ammaraggio per morire solo poco prima di essere recuperato, dopo un’agonia di giorni in balia delle onde? L’Unità di crisi della Farnesina ha confermato mercoledì scorso che le autorità venezuelane hanno operato prontamente e in modo efficiente. Ma una risposta ancora non l’hanno data. Dov’è finito l’aereo?

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