«A Luca serve un miracolo Noi continuiamo a pregare»

Fa freddo nell’anticamera del reparto rianimazione dell’ospedale Fatebenefratelli. Un gelo che penetra nel cuore quando s’incontrano i parenti e gli amici di una persona ricoverata in coma profondo. Come la famiglia Massari. Che da ormai tre settimane non lascia il capezzale di Luca, 45 anni, il tassista massacrato di botte il 10 ottobre in largo Caccia Dominioni, in zona Ripamonti, dopo aver accidentalmente investito un cane che gli ha attraversato la strada. Da quel giorno Luca non si è mai più ripreso. Anzi: le sue condizioni sono peggiorate.
«All’inizio era in coma indotto, farmacologico - ci spiega Giovanni Monza, direttore medico del presidio ospedaliero Fatebenefratelli e Oftalmico -. Che man mano è stato allentato per controllare la permanenza dei riflessi che dipende appunto dall’attività cerebrale. Rivelatasi purtroppo minima».
I parenti di Luca non l’hanno lasciato nemmeno un momento e continuano a non perderlo d’occhio. Nella stanza asettica al primo piano della palazzina interna all’ospedale ci sono sempre la mamma Franca, il padre Carlo, il fratello Marco e la fidanzata Patrizia. Stremati dalla stanchezza e dal dolore, per loro il tempo si è fermato lì. E anche se dal 20 ottobre il bollettino medico sulle condizioni del tassista resta tragicamente uguale (è in coma irreversibile, ndr), anche se le luci dei riflettori - un po’ fisiologicamente un po’ per rispetto di questa situazione stazionaria e terribile - intorno a questa famiglia si sono spente, loro tengono duro e continuano a crederci: Luca ce la potrebbe ancora fare, una possibilità, anche se minima, esiste.
«Continuiamo a pregare e a sperare in un miracolo - ci dice tra le lacrime la zia materna di Luca, Caterina, 60 anni, una signora alta e bionda, che parla stringendosi le braccia intorno al busto, quasi a volersi proteggere e poi ce le allunga per farsele stringere in cerca di comprensione, solidarietà, un po’ di calore umano che possa spazzar via almeno per un momento la disperazione -. Non ce lo lasceremo portar via così il nostro Luca. Anche se ce l’hanno rovinato, anche se ci hanno fatto una cosa troppo grossa, troppo grossa...Sappiamo bene che se dovesse sopravvivere potrebbe restare così, com’è ora. Ma lo vogliamo comunque qui con noi».
«Il paziente non è un cadavere finché c’è anche un briciolo di attività cerebrale che ne sostenga le funzioni vitali. Anche quando questo avviene solo grazie a un respiratore automatico - spiega ancora Monza -. Secondo la normativa, quando si accerta l’assenza totale di attività cerebrale, un procedimento che viene definito “accertamento di morte a cuor battente“ perché il cuore funziona solo per un suo automatismo ma l’encefalo non è più in attività e la respirazione permane solo perché supportata dal punto di vista medico, il soggetto è ormai purtroppo un cadavere.

Inizia così un controllo ogni tre ore per un totale di sei, dopo di che si decreta la morte del soggetto. È solo allora che, previo permesso della famiglia, viene avviata la procedura di espianto degli organi».
L’attività cerebrale di Luca Massari resiste ancora. E, a volte, i miracoli accadono.

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