Si comportasse così un testimone qualsiasi, verrebbe come minimo accusato di reticenza. Ma lui, Massimo Ciancimino, l'aspirante pentito finito in cella per calunnia aggravata a Gianni De Gennaro perché, perizia canta, avrebbe falsificato un foglio scritto dal padre aggiungendo "ad hoc" il cognome dell'ex capo della Polizia, può tutto, anche quando viene colto in fallo. E così sabato, a sorpresa, dopo un interrogatorio in cui ha anche cambiato versione tanto sul documento che gli ha riaperto le porte del carcere, tanto sul'esplosivo trovato sepolto nel giardino della sua casa palermitana di via Torrearsa, cuore della Palermo-bene, ecco il colpo di scena: uno sgabuzzino nascosto, tra il piano terra e il primo piano del suo appartamento, con una valanga di appunti e documenti di don Vito, raccolto in cinque scatoloni e portati via dagli inquirenti.
Un vano nascosto, che secondo i primi accertamenti non compare nemmeno nelle mappe catastali. Eppure quella sorta di «biblioteca» era lì, nella piena disponibilità di Massimuccio, che forse proprio da lì attingeva ogni volta che decideva di produrre nuovi atti,. Eppure, alla faccia dell'immagine di «icona dell'antimafia», che si era cucito addosso con l'aiuto di tv e opinionisti, il bisogno di rivelare ai pm l'esistenza di quell'archivio non l'aveva mai sentita. «Non ci sono più carte di mio padre in giro», ha assicurato adesso Massimuccio. Ma l'ha detto così tante volte, quando man mano negli anni i presunti archivi segreti del padre sono stati scoperti, che riesce difficile stabilire se sia vero oppure no. I nuovi documenti adesso saranno vagliati dai periti, mentre le nuove dichiarazioni di Ciancimino jr sono state secretate.
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