Macché escort. Al massimo sono mantenute

Le ragazze non sono prostitute perché hanno rapporti di amicizia col Cav. E questo non è un reato

Macché escort. Al massimo sono mantenute

È arrivato il momento di fare chia­rezza. Si discute, su opposti fron­ti, sulla competenza della Procu­ra di Milano o del Tribunale dei ministri relativamente ai reati contestati al presidente del Consi­glio. Nessuno però è entrato nel merito delle accuse. Si parla infat­ti di concussione ( ed è già difficile ravvisarla, in assenza di un consa­pevole concusso); e meglio sareb­be parlare di plagio o di abuso di potere,dal momento che per l’au­torevolissima provenienza della telefonata da parte di una delle più alte cariche dello Stato, il fun­zionario «statale» della Questura avrebbe potuto ritenere opportuno, se non addirittura inevitabile, obbedire. Non c’è con­cussione se non c’è tornaconto; e in questo caso ci può essere stata al massimo suggestione, se non senso della responsabilità, valutate le cir­costanze. Ma ancora più inverosimi­le se non addirittura impossibile, il reato di prostituzione. E qui occorre una riflessione tecnica e io sono pronto a preparare una perizia di parte (benché assolutamente im­parziale) come esperto della mate­ria. Procediamo dunque a una feno­menologia della prostituzione. I cui limiti e confini sembrano del tutto sfuggire ai magistrati di Milano. Quali sono le caratteristiche di una prostituta? Prostituta è una perso­na che offre una prestazione per un tempo limitato, senza fornire docu­menti e generalità. Nel rapporto con la prostituta è essenziale l’ano­nimato: non se ne conosce l’identi­tà anagrafica,non il nome,non l’età e qualche volta neppure il sesso. A sua volta la prostituta ignora il no­me del cliente e svolge il suo lavoro senza cercare confidenza e mante­nendo le distanze. Può essere cono­sciuta con un nome d’arte, mai con il cognome. Non chiede e non forni­sce generalità relative all’età. In­somma, in automobile come in al­bergo, anche previo contatto telefo­nico, fornisce una prestazione che viene immediatamente pagata, spesso in anticipo. Insomma, la pro­stituta si paga una volta sola e per non vederla mai più. Il servizio che fornisce è analogo a quello di un bar o di un ristorante. Si ordina un pri­mo piatto, una pizza o un panino, lo si consuma e non si conosce né si chiede il nome del cameriere o del barman. È vero che in un bar o in un ristorante si può tornare, ma il con­to si paga di volta in volta. E anche nei casi di reiterazione, il cliente cer­ca la prostituta, ma la prostituta non cerca il cliente. Mai visto una prostituta sentimentale che si fa vi­va con il cliente, del quale, per con­venzione internazionale, non pos­siede il numero di telefono. Diversissima la fattispecie delle ragazze, genericamente e erronea­mente chiamate prostitute, che fre­quentano il premier. Offensivo in­tanto che con un criterio moralisti­co alcuni giornalisti approssimativi siano arrivati a chiamare «prostitu­ta » una ragazza che ha cercato fortu­na andando da Forlì a Milano. Que­sto il tono di Giuseppe d’Avanzo: «Iris inizia quindicenne a frequenta­re le passerelle. A 17 anni si trasferi­sce a Milano in cerca di fortuna ed entra nel giro delle hostess per le fie­re. Presto diventerà una prostitu­ta ».L’orrenda prepotenza maschili­sta rispetto al tentativo di affermar­si di una ragazza, anche facendosi pagare la bellezza e le prestazioni, trova un rispecchiamento nell’anti­quata e medioevale visione di Giu­lia Bongiorno, di cui è evidente la formazione di destra e le simpatie per il fascismo, la quale così espri­me la sua avversione a Berlusconi con l’apparente obiettivo di difen­dere la dignità della donna: «Berlu­sconi, con le sue parole e i suoi com­­portamenti, ha inferto una ferita a tutte le donne italiane: alle donne che studiano e lavorano (spesso per­cependo stipendi inadeguati, o, co­me nel caso delle casalinghe, senza percepirli affatto), a tutte noi che facciamo fatica un giorno dopo l’al­tro; alle donne che per raggiungere ruoli di rilievo non soltanto a certe feste non ci sono andate, ma hanno semmai dovuto rinunciare a vedere gli amici; a quante, invece di cerca­re scorciatoie, hanno percorso con dignità la strada dell’impegno e del sacrificio». Con analoga povertà di concetti esprime adesione al pen­siero della Bongiorno, Annamaria Fiorillo. Ed entrambe, come i magi­strati di Milano, continuano a de­scrivere un panorama desolante di prostituzione. E qui è la distinzione. Le ragazze che frequentano Berlu­sconi sono persone conosciute, che hanno e usano il numero di telefo­no del premier, che vanno, vengo­no e tornano dalla sua casa, che non forniscono prestazioni, ma hanno con lui consolidati rapporti. Si trat­ta ad evidenza, nell’ipotesi più mor­­tificante, rispetto a quella ovvia di conoscenti e di amiche, di mantenu­te, figure tutt’affatto diverse dalle prostitute. Esse infatti, attraverso la consuetudine, stabiliscono un rap­porto di confidenza e perfino di af­fettività che presuppone appunta­menti, telefonate, doni, cene, pran­zi e magari anche prospettive di oc­cupazione, posti di lavoro, candida­ture politiche, comparsate televisi­ve. Insomma un panorama comple­tamente diverso. E, d’altra parte, ogni donna che sposi un uomo ric­co, con buona pace della Bongior­no e della Fiorillo, può aspirare alla felice e desiderata condizione di «mantenuta». O il premier dovrà es­sere perseguito perché, non aven­do sua moglie mai lavorato, egli si è preso cura di lei fino a ritenere legit­tima la richiesta di 3 milioni e mez­zo di euro al mese? Perché allora cri­minalizzare come prostitute quelle che si accontentano di un affitto pa­gato a mille euro o di un dono di 5-6-7mila, equivalente al valore di una borsa costosa o di un gioiello? Se non è pagata la prestazione nel rigoroso ambito dell’anonimato, non c’è prostituzione. I rapporti con le ragazze che noi conosciamo, e anche nelle loro conversazioni, ap­paiono evidentemente continuati­vi e di amicizia. O non risulta alla Bongiorno e alla Fiorillo che donne giovani e non abbienti trovino uo­mini facoltosi e ne abbiano danari e regali come tributo alla loro bellez­za? Dunque non va ricusato il tribuna­l­e, ma ricusato il reato e stabilita la diffamazione di chiunque chiami una ragazza disponibile prostituta, e confusa la prostituta con la mante­nuta. Molti milioni di donne italia­ne senza essere prostitute, sono mantenute. E lo sono con dignità, con convinzione, con orgoglio, sen­za avere cercato scorciatoie, ma per­seguendo un obiettivo legittimo che vede nell’uomo, come un tem­po era, colui che mantiene la casa e la famiglia. Ridicolo e retorico parla­re di «impegno» e «sacrificio» come se fosse proprio soltanto di chi è sta­ta l’avvocato di Andreotti e non di una donna che ha educato i figli e tenuto la casa con i soldi del marito, per scelta e per convinzione. Allo stesso modo tutte le amanti, specie di uomini facoltosi, hanno probabil­mente apprezzato con il piacere e la passione anche l’interesse e il van­taggio del ruolo.

Tutte puttane? Tut­te prostitute? Vogliamo farne l’elen­co? Vogliamo giudicare la natura dei rapporti tra il pubblico ministe­ro Tito e il gip Fasan, acclarati aman­ti con il marito cornuto consapevo­le e confesso? Ecco allora: pruden­za e rispetto. E attenzione a ricono­scere i ruoli e a trasformare le scelte, le amicizie, gli amori, anche i vizi, in reati.

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