«Certo, la macchina può fare solo ciò che le ordiniamo, qualsiasi altra cosa sarebbe un guasto meccanico. Tuttavia, non c'è bisogno di supporre che, quando le diamo gli ordini, sappiamo cosa stiamo facendo, né quali siano le conseguenze». Così scriveva Alan Turing negli anni Cinquanta, dopo avere posto la domanda cruciale se le macchine possano pensare, da lui declinata nei termini del famoso «gioco dell'imitazione». In questo modo, non solo lanciava la sfida a costruire macchine intelligenti ma pronosticava, con incredibile anticipo, quello che sarebbe successo negli ultimi cinque anni. Ovvero «qualcosa di grande» spiega Nello Cristianini, professore di Intelligenza artificiale all'Università di Bath che, dopo avere pubblicato La scorciatoia (il Mulino, 2023) torna a parlare della rivoluzione in corso nel saggio Machina Sapiens (il Mulino, pagg. 160, euro 15).
Professor Cristianini, perché un nuovo saggio?
«Perché questo campo si sta muovendo rapidamente. Questo non è un momento di ordinaria amministrazione nella scienza: è uno di quelli che capitano poche volte, se capitano...».
Che cosa è così sorprendente?
«Dai tempi di Turing abbiamo convenuto che, se una macchina conversa in tutto e per tutto come noi e non siamo in grado di distinguerla da un essere umano, allora va considerata intelligente. Ora abbiamo costruito un enorme meccanismo - ChatGpt - in grado di conversare con noi: lo scorso anno, 180 milioni di utenti attivi hanno conversato con questa macchina in modo impeccabile. Ma non è una questione di linguaggio».
Qual è il punto?
«Vuol dire che la macchina capisce il mondo. Le prime macchine erano costruite separando comprensione del linguaggio e comprensione del mondo, nella convinzione di mettere poi insieme le due cose; ChatGpt fa diversamente: legge migliaia e migliaia di pagine web, e basta, e comprende sia il linguaggio, sia il mondo... Il suo non è solo linguaggio, è ragionamento: è cogliere le connessioni causali che esistono nel mondo. Ora, una domanda è: come abbiamo fatto? È quello che racconto».
Il sottotitolo è: «L'algoritmo che ci ha rubato il segreto della conoscenza». Tutta, o di un certo tipo?
«Le macchine comprendono il mondo a modo loro, non in modo umano. E, per ora, un modo che ha funzionato è stato a partire da migliaia e migliaia di libri e pagine web; ma in futuro potrebbero imparare anche dai video e da altre fonti di dati. E non sappiamo quali altre abilità potranno ancora emergere».
Fra le nuove abilità emergenti - e inaspettate - quali si sono sviluppate?
«Gli agenti come ChatGpt si basano appunto su enormi modelli di linguaggio, in grado di predire le parti mancanti di un testo in base al contesto; chiedendo alla macchina questo sforzo di completare le frasi l'abbiamo obbligata a pensare, e lo ha fatto leggendo milioni di pagine: così, oltre a questa abilità di completare le frasi, ora sa tradurre, rispondere a domande, fare riassunti, apprendere dal contesto, fare operazioni, sillogismi e rime, scrivere un programma per il computer. Qualcuno sostiene che il programma di Gpt6 sarà scritto da Gpt5. Non solo: la macchina è in grado di passare test universitari in biologia e giurisprudenza, di completare una cartella clinica con la diagnosi e di risolvere un giallo con il nome del colpevole...»
Come lo fa?
«Non abbiamo una teoria, oggi, che lo spieghi. Dobbiamo studiarlo. Quello che sappiamo è che, quando ha pochi dati su cui addestrarsi, la macchina non funziona: perciò c'è una corsa tra aziende, e anche governi, a costruire modelli sempre più grandi. E questa corsa che si basa su tre fattori essenziali: dati, hardware e risorse umane».
Che altro è da studiare?
«Il test di Turing è stato superato, ma noi come ci comportiamo con queste macchine, che cosa fa la mente umana? Il dialogo con entità non umane è un altro territorio inesplorato: alcuni se ne innamorano, altri le odiano, alcuni cercano di ingannarle o ipnotizzarle, altri ne sono ingannati a loro volta... Tutto questo è molto umano. E poi: che cosa sappiamo di queste macchine? Come facciamo a sapere se non hanno conoscenze sbagliate, o se possiamo fidarci?».
Dobbiamo avere paura?
«Io vorrei trasmettere più che altro un senso di meraviglia e di avventura, prima che di paura, o di allarmismi che mettono solo ansia, come quelli su una nostra estinzione. Dopo 70 anni abbiamo costruito una macchina che ha letto migliaia di libri, capisce il mondo a modo suo, conversa, collega i fatti e può darci grandi vantaggi competitivi e pratici: è difficile perfino rendersene conto. Fra vent'anni potrebbe avere letto milioni di libri digitalizzati, e che cosa potrà fare? Questo avrà un effetto culturale».
Di che tipo?
«Non siamo più i primi della classe negli scacchi e nel memorizzare i numeri di telefono; presto potremmo non esserlo anche in altri campi, molto nostri, come leggere, scrivere, capire. Di qui l'idea della Machina sapiens: noi siamo diventati Homo sapiens quando abbiamo rubato il segreto della conoscenza, con Eva, Prometeo e Pandora, e per questo ci sentiamo speciali, ma può essere che, presto, ci saranno altre cose sapiens, perché questa è la strada che abbiamo intrapreso. E andremo fino in fondo, perché siamo fatti così: perché siamo quella specie animale che ha giocato col fuoco, anche se era pericoloso. È la nostra natura».
C'è chi si preoccupa.
«Siamo all'inizio di questa strada: possiamo prendere i lati positivi e controllare quelli negativi. Perciò una regolamentazione è necessaria. Più gente ci pensa, la studia e la conosce, più si smonta il senso che sia una magia: non è una magia, è una tecnica, da affrontare come il tostapane e il frullatore».
E poi?
«Va studiata e compresa. Studiando, la si controlla».
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