Magiar: «Anche tra i Ds molti anti israeliani»

Il dirigente ebreo della Quercia che ha definito gli hezbollah fascisti: «A sinistra nessuno dei leader mi ha difeso»

Luca Telese

Da ieri il Corriere della Sera lo usa per classificare le posizioni della polemica su Israele e scrive: «Con Magiar». Ma il grande pubblico non conosce i riccioli rossi e baffi e la passione di Victor Magiar, classe 1957, dirigente dei Ds - ma soprattutto - consigliere della comunità ebraica di Roma, eletto nella lista «di sinistra». I media si sono accorti di lui quando - dopo l’ormai celebre passeggiata di Massimo D’Alema al fianco di un deputato hezbollah - ha cesellato un editoriale di fuoco su Europa: «Non sono compagni, sono fascisti», per spiegare cosa pensa del «partito di Dio». Magiar è uno dei tanti ebrei dotati di storia familiare quasi epica: nasce in Libia nel 1957, e dieci anni dopo deve emigrare per via dei tumulti antiebraici che seguono la guerra dei Sei giorni. In Italia suo padre combatte dieci anni per (ri)ottenere la cittadinanza. Lui si iscrive all’università, la lascia, fa il falegname fino al 1988 quando è tra i fondatori del gruppo «Martin Buber, ebrei per la pace», che sull’onda della prima Intifada promuovono il dialogo con i palestinesi. Dopo 18 anni (e un’altra Intifada) è sulle posizioni di pacifisti come David Grosmann che hanno sostenuto la guerra contro Hezbollah. E ovviamente spara a zero sulla sinistra filo-hezbollah.
Magiar, che pareri ha ricevuto a sinistra dopo il suo «j’accuse»?
«Moltissimi attestati di solidarietà».
Chiamate dai leader?
«Nessuna».
C’è anti-israelismo a sinistra?
«Sì, nato a più riprese, dopo la seconda Intifada suicida, e il fallimento di Camp David. Una parte della sinistra, ma non solo, non poteva concepire che Arafat potesse avere la responsabilità del suo no».
Tutti dicono: «Due popoli, due Stati».
«Una parola d’ordine che abbiamo contribuito ad affermare, la formula che metteva a posto tutto. Oggi non più».
Perché?
«Va preso atto che una parte di Islam non rinuncia alla distruzione Israele».
Lei dice: a sinistra c’è chi non lo fa...
«Non vedevano la doppiezza di Arafat, la corruzione dell’Olp. Nel 2000 dicevano: “La pace non si fa per colpa di Barak”, oggi dicono: “Va capito Hezbollah”».
Nomi, nomi...
«Quanti ne vuole: Pdci, antagonisti, persino una parte del mio partito, i Ds».
C’è anche chi è con voi?
«Tanti: Fassino, Boselli, Rutelli, Napolitano, Ranieri, Caldarola».
Ha letto i corsivi della Rossanda?
«È una pazza! Scrive di me: “Magiar, che passa per essere uno di sinistra”».
Lei cosa le aveva fatto?
«Nulla! Avevo difeso Morpurgo su l’Unità, quando Asor Rosa lo aveva accusato di ingerenza negli affari interni italiani. E questo perché ricordava alcuni passaggi infelici sugli ebrei nei suoi scritti!».
Legge ancora il manifesto?
«Scrive cose che non stanno né in cielo né in terra. Ma non discuto più: ricorda Oscar Wilde? “Non partecipo a contraddittori con imbecilli perché il pubblico potrebbe non capire la differenza”».
Veniamo alla politica di D’Alema.
«Non è nemico. Ma sbaglia di grosso».
Perché ha fatto quella passeggiata?
«Più che un azzardo è stato un pasticcio.

Temo che lui non abbia nemmeno capito in che errore andava a cacciarsi».
Per ricucire con la comunità ebraica cosa dovrebbe fare?
«Nulla. Non dà nessun segnale di voler dialogare con chi fa osservazioni critiche. Sembra che abbia assunto una linea per partito preso».

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