Magic o Larry Bird Dilemmi (e gioie) di chi è cresciuto col basket

«Leggete questo libro perché è scritto in un buon italiano, sta in una tasca e poi parla bene di me». Sandro Gamba, allenatore storico del nostro basket, sforna lo slogan per la quarta di copertina: sarà che a furia di insegnare pallacanestro si impara a comunicare. O, piuttosto, si spende una vita in palestra proprio perché si ha voglia di comunicare qualcosa. E di mettersi in gioco. Il dubbio è venuto a un milanese classe 1969, Mario Fumagalli, autore di Odiavo Larry Bird (Ed. Ares, 12 euro), presentato qualche settimana fa all'Associazione Sportiva Mojazza, in via Prampolini, in un incontro affollato anche di giovani che fra quelle pareti crescono tirando a canestro. Un libro che parla di basket sfogliato su un campo da basket: certe storie si raccontano meglio dove sono nate.
Ex-adolescente folgorato sulla via dell'Olimpia di Dino Meneghin e dell'Italia oro europeo 1983 (con Gamba ct), Fumagalli appartiene alla generazione che non aveva bisogno di una parabola per scoprire l'Nba in tv. E che si divideva nel tifo: o i Los Angeles Lakers di Magic Johnson o i Boston Celtics di Larry Bird. Mario aveva scelto i Lakers, e, quindi, «odiava» il biondo, granitico totem dei Celtics. «Ora invece è uno dei miei miti», ammette Fumagalli, «perché è un esempio di fuoriclasse sbocciato nel lavoro». E perché le esperienze e gli anni cambiano prospettive. Odiavo Larry Bird, nato da appunti buttati giù dopo gli allenamenti, è in effetti ricco di «ripensamenti», ma nel senso di «riflessioni», capaci di raggiungere qualunque sportivo. Racconta la crescita di un ragazzo per cui il basket era «una gioia vera, serena e forte» e c'è abbastanza sincerità perché le tappe della vita - la scuola, l'innamoramento, la ricerca del «senso» - sembrino scandite dal rumore del pallone che rimbalza. Ragiona sul rapporto di identificazione con i campioni e sullo sport come chiave di lettura della realtà, non come fuga da essa. Sceglie come filo conduttore l'esperienza dell'autore come «allenatore-giocatore-portaborracce» alla Mojazza, con un gruppo di giovani di un campionato minore, cominciata con la «molla del mettersi al servizio», con la voglia di «spendersi» per qualcosa che si ama. Il risultato è un romanzo per chi si è sbucciato o continua a sbucciarsi i gomiti dietro a una sfera (anche a scacchi, oppure ovale...

), uno spunto di riflessione per istruttori che non intendano il basket solo come una rete di schemi, un omaggio a una società sportiva milanese «dove si entra come persona e il progetto non è solo tecnico». E, infine, un tentativo di attirare qualcun altro sotto canestro. Non a caso il libro termina con il regolamento di gioco. Si infila in tasca e si vola in palestra.

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