Magnini, un trono diviso in due

Il campione del mondo si ripete nei 100 stile libero, ma stavolta condivide l’oro con il canadese Hayden. "Era un dovere riconfermarmi dopo Montreal. Così ho risposto a chi mi snobbava"

Magnini, un trono diviso in due

Melbourne - Una frazione di secondo per sentire il cuore farsi grande. Si è complimentato con se stesso: ce l’ho fatta anche stavolta. Poi ha girato l’occhio. Hayden, il pelatone canadese, esultava. «Mi ha detto strano. Accidenti, cavolo! E questa che storia è? Ha vinto anche lui». Che dire? Mezzo campione o campione intero. Due facce e una medaglia o una medaglia a due facce? Filippo Magnini ha risolto con la filosofia del buonsenso. «Va bene lo stesso, meglio se l’altro arrivava con un centesimo in più. Ma se capitava il contrario...». Finale da brividi, otto uomini raggrumati in una bolla d’acqua. Non c’è gara così tesa, così incerta, ogni volta così diversa nei suoi protagonisti. Cento metri per non sapere chi è il campione. Stile libero, ma di sorprendere. Cento metri per avere due uomini sul podio, due bandiere salire insieme sul pennone, due inni da ascoltare: c’è un mondo che dice Magnini e un altro che dice Hayden. Apocalisse now e per i prossimi due anni. Ognun si schieri con chi vuole, gli sconfitti stanno peggio.

Campione del mondo ancora, vincitore ancora, sul podio due anni dopo per sfogliare il libro dei ricordi e riempirlo con successi che fanno di Magnini un cannibale dello sport. Questo lo definisce in tre parole. Ha vinto con il cuore, filando come un siluro pocket in mezzo a stangoni alti più di un metro e novanta. Lui è il vero bassotto della compagnia. In acqua sembravano tanti pescecani e un tonnetto. Questa volta la gara è stata meno esaltante di altre, più sofferta, solito avvio lento (settimo alla virata), il rush dei secondi cinquanta metri meno devastante. «Ma è stata anche una felicità diversa: a Montreal fu pazzia per aver vinto, qui soddisfazione di aver riconfermato l’oro. La sentivo come una cosa dovuta. Mi sono tolto un peso». Due mani sulla piastra per definire un tempo che fa uno sgarbo allo sport: nessun vincitore unico. Abolita la conta dei millesimi dal 1972, resta la filosofia della pari opportunità. Magnini l’aveva già provata agli europei di Madrid nel 2004: terzo nei 200 sl a pari merito con Rosolino, ma quella fu quasi una vittoria. Questa è una vittoria dimezzata. «Però il podio mi ha emozionato più di quello di Montreal, dov’ero solo. Il pubblico mi ha applaudito tanto, noi italiani dobbiamo essere simpatici. Eppoi ho visto Popov: mi ha premiato, è stato un onore e un’emozione. Volevo dirgli tante cose: dirgli che ho vinto anche per lui che mi aveva pronosticato vincitore a differenza di altri. Ero il campione e mi snobbavano. Sono primo per dimostrare che noi italiani ci siamo sempre». Soggiunge: ed io soprattutto.

Cambiano le facce, non quella di questo ragazzone che ancora una volta ha vinto una finale tra le più veloci della storia. «Ho realizzato il mio secondo tempo di sempre, dopo il 48”12 di Montreal». Magnini e Hayden: messi in quest’ordine sul tabellone della classifica finale. Forse non a caso. Stesso tempo 48”43 e poi gli altri: l’australiano Sullivan, staccato di quattro decimi, il brasiliano Cielo che ha virato primo ai 50 metri, l’americano Lezak. In retrovia la sconsolata ombra di Van den Hoogenband e il duo sudafricano: il petulante Schoeman e il silenzioso Neethling. Conquistare un mondiale, sempre con lo stesso marchio è raffinatezza nostrana: c’è l’Italia del calcio che vince ai rigori e Magnini primo al fotofinish. Sofferenza e batticuore, un modo di lasciare il segno. «Vero, ma io in vasca mi battevo da solo. Loro erano in undici». Sfumature di una storia che lo ha preoccupato ancor prima di salire sui blocchi. Il giorno prima Pippo non stava bene: «Mi sembrava di avere la febbre, ero tutto rotto. I cambi di stagione sono il mio vero nemico». Eppoi quel dovere, quell’idea del «vincere per dimostrare qualcosa». In cuor suo il nostro si sente il vero campione del mondo, anche se esperienza e furbizia lo hanno indotto a celebrare abbracciato ad Hayden. Però gli sarebbe piaciuto conoscere il tempo al millesimo. «Anche se era un rischio. E se avessi perso?». La risposta è così pronta da non aver filtri della ragione. «Avrei messo l’oro sul tavolo e mi sarei preso l’argento. Ma avrei preteso anche il contrario». C’è sempre un Hayden che rovina i piani: chiedere informazioni a Valentino Rossi.

Oggi Magnini si sente un po’ Valentino, ma il Canada e i canadesi hanno tracciato la sua storia: due anni fa ha vinto il mondiale a casa loro. Stavolta il canadese non gli ha impedito di canticchiare l’inno di Mameli. Dice: «È stata una gara mostruosa». Ma ora aspetta un altro podio: da solo o in compagnia. Arrivederci a Pechino.

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