Mambro e Fioravanti sangue e misteri nell’Italia lacerata

Strage di Bologna: i condannati non sono colpevoli Lo sostiene Andrea Colombo in «Storia nera»

Mambro e Fioravanti sangue e misteri nell’Italia lacerata

Le prove? Inesistenti. I testimoni? Inattendibili? I riscontri? Inconsistenti. Fa una certa impressione scorrere le conclusioni a cui giunge Storia nera, il libro sulla strage di Bologna, scritto da un uomo di sinistra - Andrea Colombo, a lungo firma del Manifesto oggi portavoce di Rifondazione comunista al Senato - che esce domani in libreria (Cairo, pagg. 380, euro 17). Un libro che stupirà e susciterà polemiche non solo a sinistra, ma anche a destra, costruito intorno ad un’unica tesi forte: quella che Valerio Fioravanti, Francesca Mambro e Luigi Ciavardini (i tre imputati condannati con sentenza definitiva in due diversi processi per la strage alla stazione di Bologna del 2 agosto 1980) siano innocenti. Ma che parte da un lungo lavoro di ricostruzione processuale e politico condotto con i due leader dei Nar non privo di sorprese.
Qualcuno si chiederà perchè questo libro esca proprio ora. Ma forse solo adesso, dopo che anche la Cassazione il 12 aprile scorso, confermando la condanna a trent’anni di Luigi Ciavardini, ha detto l’ultima parola sulla strage, si può discutere senza il sospetto della strumentalizzazione. E forse, proprio nel momento in cui si chiude definitivamente la storia giudiziaria di uno dei processi più tormentati del dopoguerra, si può finalmente aprire lo spazio per una nuova riflessione storica. Se non altro perchè tantissimi sono gli enigmi che restano insoluti non solo per i magistrati, ma anche per gli storici e i giornalisti che si sono occupati del caso. E anche perchè quella bomba di Bologna - 95 morti, 200 feriti - è la più grande carneficina mai realizzata nel nostro paese, è un complicatissimo giallo processuale, è tuttora un enigma politico sull’identità delle destre italiane, è una spy story inquinata da servizi segreti e logge massoniche, depistaggi, condanne clamorose e assoluzioni inspiegabili.
In uno scenario di questa portata, qualunque idea si abbia, Storia nera è comunque un libro avvincente. Nella prima parte, perchè prova a dimostrare una tesi inedita e diversa da quella dei magistrati sull’origine dei Nar. Nella seconda perchè il libro è scritto come un thriller che si dedica (con un evidente scrupolo innocentista) alla demolizione progressiva di tutte le tesi dell’accusa. Una scelta di campo netta che ricorda quella di un altro avvincente libro sul caso, Il terrorista sconosciuto di Gianluca Semprini (edizioni Barbarossa), altro giornalista di sinistra, anche lui convinto dell’innocenza del trio. Semprini aveva intrecciato il processo alla biografia di Ciavardini, Colombo con Fioravanti e la Mambro.
La loro storia nera Colombo la legge in totale discontinuità con tutte le altre biografie del neofascismo italiano. Un gruppo di ventenni, mossi da un’idea di contrapposizione totale allo Stato e ai suoi rappresentanti, ma che non avevano nel loro Dna l’idea della strage e la teologia del golpe che aveva sedotto molti militanti della destra negli anni Settanta: «Valerio porta il miraggio di un’anarchia di destra priva di ogni rapporto con il passato, tesa a distruggere l’eredità storica del neofascismo italiano».
Ed è ancora una volta la storia di Fioravanti - già raccontata da Piero Corsini e da Giovanni Bianconi nelle loro biografie - la chiave per capire tutto. Il rapporto egemonico con il fratello, la carriera di enfant prodige del cinema italiano con La famiglia Benvenuti, quella incredibile sliding door che lo riporta in Italia nel 1975, quando si trova in America, ed ha davanti a se una carriera da divo. Senza questo ritorno, Valerio non sarebbe finito in classe con due dei futuri Nar, Franco Anselmi e Massimo Carminati.
E Francesca Mambro? Una singolare «missina rossa», filo-israeliana, ultra popolare, e arrabbiata contro tutto e tutti. «Detestavamo i sanbabilini. Se c’era una sciopero, mentre loro difendevano il padrone, noi difendevamo gli operai». Anche il rapporto di amore-odio con il Msi dove entrambi crescono, Colombo lo legge in chiave psicologico-generazionale. Quando il gruppo dei Nar entra nella lotta armata - racconta Fioravanti a Colombo - «I segretari di sezione non riuscivano a controllarci ma neppure ci denunciavano». Carminati spiega il suo progetto di vita a Fioravanti: «Violare tutti gli articoli del codice penale».
Poi Colombo entra nel merito del processo. I giudici sostengono, per esempio, che l’assalto dei Nar con bombe Srcm alla sezione del Pci Esquilino nel 1979 era una prova generale della strage, un anno prima? Lui prova a dimostrare che si trattava di una rappresaglia per l’omicidio Cecchin e che Valerio era contrario. I giudici sostengono che il testimone-chiave dell’accusa, Massimo Sparti, è attendibile? Colombo ricostruisce il suo identikit di filonazista, ladro e scassinatore che aveva rapinato percosso a sangue una coppia di collezionisti numismatici perché erano ebrei. E ricostruisce i misteri della sua scarcerazione. E l’assassinio del leader del movimento di estrema destra Terza posizione, «Ciccio» Mangiameli, che secondo i giudici era un testimone scomodo? Si tratta di un chiaro caso di faida politica.
Un intero capitolo è dedicato ad un altro testimone importante del processo, Angelo Izzo, ex massacratore del Circeo, l’uomo che ha accusato come esecutore materiale Ciavardini. Ma come arriva a questa conclusione Izzo? Lo racconta ai giudici, riferendo una tortuosa vicenda non confermata dall’unico teste ancora in vita, l'ex Nar Massimo Cavallini. Infine, la vicenda più discussa, quella del depistaggio per cui è stato condannato Licio Gelli. Una valigetta carica di esplosivo, armi, biglietti intestati a due cittadini stranieri, che secondo i giudici serviva a scagionare i Nar e a mettere la polizia su una pista internazionale. Colombo ha buon gioco a dimostrare che non aveva senso metterlo in campo nel 1981, per scagionare Fioravanti e Mambro, se all’epoca i due non erano nemmeno inquisiti. Insomma, Storia nera ha tutti i pregi e i difetti del libro «a tesi», anche se è scritto con grande arguzia investigativa, e se produce un’imponente mole di elementi.


Se c’è un capitolo che può apparire meno convincente, per esempio, è quello delle cosidette «piste alternative», in cui Colombo produce anche elementi nuovi per sostenere la tesi del terrorismo arabo che che insanguinava l’Europa in quegli anni. Ma in ogni caso, visto che parliamo di un giallo che è anche processuale, non bisogna mai dimenticare che l’onere della prova non spetta alla difesa, ma all’accusa.

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