Mangini Bonomi, si aprono le stanze delle meraviglie

Si dice che la casa sia lo specchio dell’anima. Che osservando gli arredi che colorano gli spazi, i dipinti che animano le pareti, i tessuti che rivestono i pavimenti o che decorano le vetrate, si capisce di più di un uomo che ascoltandolo parlare per ore o seguendolo nel suo peregrinare. Non stupisce, dunque, che un instancabile collezionista e inguaribile esteta come Emilio Mangini Bonomi (1912-2003) abbia scelto un palazzo rinascimentale di quattro piani, a due passi dal Duomo, per costruire attorno al suo nome una grande casa-museo. Simbolo dell’estro e della follia del suo eccentrico e geniale proprietario. Perché di singolare, questo facoltoso imprenditore immobiliare, campione di off-shore, autore di apprezzate commedie in milanese portate in scena al Gerolamo e al Teatro delle Erbe, ma soprattutto amante dell’arte e del bello, non aveva soltanto la sfarzosa dimora di via dell’Ambrosiana 20, che acquistò nel 1978, ristrutturò e arredò insieme al figlio (la moglie era scomparsa prematuramente) e dove abitò fino alla morte. A renderlo unico e controcorrente, tra le famiglie borghesi di quegli anni, erano due aspetti in particolare, della sua eclettica personalità: la passione per gli oggetti di uso quotidiano, di diverse epoche e stili, che raccolse e accumulò in giro per il mondo, per poi riunirli nella residenza milanese; e insieme l’ambizione di lasciare quei «tesori» in eredità ai posteri, istituendo una fondazione museale che fosse innanzitutto «un tributo alla città».
Quel sogno finalmente si realizza: domani, grazie all’importante iniziativa dell’associazione «Città nascosta» di Milano, presieduta dalla giornalista e critica d’arte Manuela Alessandra Filippi, e da un anno impegnata a promuovere il patrimonio storico e artistico milanese, la casa-museo Mangini Bonomi aprirà al pubblico le sue collezioni. Non solo quelle conservate al primo piano o nei sotterranei, già accessibili in passato, ma anche quelle custodite negli appartamenti privati, e mai esposte prima d’ora. Arredi, sculture, armi e abiti d’epoca, ceramiche e orologi, oggetti da viaggio e da passeggio, persino carte da gioco, accessori per animali domestici, oggetti di culto, ventagli e scrigni preziosi. Un variopinto bric-à-brac di tecniche e materiali, di cimeli d’arte e rarità d’artigianato, con una predilezione per la cultura mediterranea, da lui stesso confessata, al punto da autodefinirsi «un raccoglitore di curiosità latine».
Da domani, un ciclo di visite tematiche guiderà alla scoperta di questi 3.700 «gioielli», dalle carte da gioco alle armi, dagli abiti d’epoca ai bastoni da passeggio, numerati e catalogati da Mangini stesso. Mercoledì 20 si esploreranno le «eleganze da viaggio», vero e proprio biglietto da visita durante i trasferimenti dell’aristocrazia del ‘700-‘800.

Sarà possibile ammirare gli accessori con cui si viaggiava durante il Grand Tour, dal XVIII al XX secolo (cofanetti e bauli con gli scomparti per il trucco, le scarpe e gli abiti da sera; valigie con le iniziali e lo stemma dei proprietari; scrittoi portatili con portacarte e pennini; e poi le trousse da toilette in pelle o pergamena, i portacipria in tartaruga, arricciacapelli da scaldare sul fuoco, set portatili per il liquore); soprattutto, si potranno scoprire le consuetudini di rappresentanza legate ai bagagli, quando una valigia non conteneva solo vestiti, ma era garante di uno «status» (per informazioni: 347/3361174, www.cittanascostamilano.it).

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