Il marasma Cgil dietro le follie di Epifani

Prevarrà un briciolo di ragione nella Cgil? Si potrà ancora salvare l’Alitalia? Comunque, vanno fatti i conti con l'ultima follia di Guglielmo Epifani: affidare i destini della più grande confederazione italiana a un’associazione corporativa di piloti.
C’è anche una pista politica? Il quotidiano rutelliano Europa ha un editoriale di Enrico Letta che non assolve il proprio partito: «Hanno perso tutti». Fa poi notare, con un titolo malizioso («Walter fa solo l'americano») che il leader del Pd - come in tutti gialli che si rispettano - è scappato a New York per darsi un alibi. È sicuro che Veltroni ed Epifani si siano scambiati un punto di vista, ed è probabile che Walter abbia detto al leader Cgil, che vuol fare l’eurodeputato e anche scegliersi «l'erede» (Susanna Camusso), «Mi raccomando non rendere la vita troppo facile né a Berlusconi né a Colaninno e Passera che tramano con D’Alema e i suoi protetti, Bersani ed Enrico Letta». Ma se c’è stato, è il complotto degli inesistenti. E non spiega a fondo la follia di Epifani.
Per capirla bisogna considerare come la trattativa Alitalia si intrecci a quella parallela con Confindustria sulle forme di contrattazione nazionale. Emma Marcegaglia ha presentato in questi giorni una proposta che tiene conto in larga misura delle proposte sindacali sull’inflazione da prevedere come base per gli accordi nazionali, spostando poi la trattativa sulla produttività a livello aziendale. Cisl e Uil hanno apprezzato la proposta. La Cgil ha fatto sapere che «bisogna allargare il tavolo», il solito modo per prendere tempo e segnalare il proprio panico. Determinato essenzialmente dal fatto che contro l’accordo ormai a portata di mano si mobilitano categorie come i metalmeccanici (compresa la minoranza riformista), gli alimentaristi, e sotto sotto il potentissimo pubblico impiego. E una parte dell’opposizione non è motivata dal merito ma (vedi riformisti Fiom, alimentaristi e, in parte, pubblico impiego) dalla volontà di bloccare le mosse di inquadramento di Epifani (a partire dalla scelta dell’«erede», la Camusso, detestata da due delle categorie mobilitate di cui è stata dirigente, Fiom e alimentaristi). La mossa di Epifani di «incendiare Alitalia» diventa così un espediente per trovare nuovi collegamenti nella Cgil. L'atteggiamento entusiastico di Liberazione, del Manifesto, del più estremista dei dirigenti Fiom (Giorgio Cremaschi) spiega come Epifani abbia scelto la via di un minimo di consenso interno piuttosto dell’assunzione della responsabilità, per guadagnare spazio e tempo. È terribile che vicende di nomenklatura e psicologiche sconvolgano la vita della società italiana. Ma è il frutto della crisi travolgente della Cgil, incapace di rinnovarsi con Sergio Cofferati che da riformista si trasformò in demagogo scatenato e affidò all’inconsistente Epifani la leadership nella speranza di far contare di più i suoi uomini. Epifani ha dimostrato nel luglio del 2007 la sua fragilità nella trattativa con il governo Prodi sullo stato sociale, firmando, contestando e infine esaltando il documento preparato dall'esecutivo.

Allora aveva in segreteria almeno alcuni dirigenti con una certa personalità come Achille Passoni, Paolo Nerozzi, Carla Cantone e Marigia Maulucci che lo spinsero alla responsabilità. Poi se ne è liberato per una segreteria sulla sua misura. I risultati si vedono con il caso Alitalia. Tenere conto del marasma della Cgil è oggi indispensabile per limitare i guasti che può provocare.

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