Marrazzo in fuga lascia e si autosospende A trans con l'auto blu in doppia fila

Il governatore del Lazio, ricattato per la sua frequentazione di transessuali: "È stata una debolezza privata, mi autosospendo". I poteri al vice,trucco per rinviare il voto. Sexgate è l’ennesima figuraccia del Pd. Franceschini furibondo, voleva le dimissioni. A trans con l'auto blu

Marrazzo in fuga lascia e si autosospende 
A trans con l'auto blu in doppia fila

RomaAutosospeso, abbandonato, praticamente in mutande. Dopo il venerdì nero per Piero Marrazzo arriva il sabato nerissimo. Il sabato in cui di fatto lascia la presidenza della Regione Lazio in seguito all’imbarazzante sexygate che lo vede protagonista suo malgrado di un video del quale solo venerdì aveva negato l’esistenza. Il sabato in cui riesce a scontentare tutti anche nel momento in cui fa la cosa giusta, invocata da destra e auspicata in silenzio a sinistra. E il sabato in cui passa all’incasso dell’appoggio politico del Pd (non la trita solidarietà umana che nessuno gli ha negato) e trova nel cappello un bottone e un soldo bucato. Perché, come dice Vladimir Luxuria, il Pd dimostra di essere «un partito bacchettone, che dà ragione a chi usa il privato per distruggere la gente».
L’addio di Marrazzo alla Pisana arriva alle 16 di un sabato lunghissimo, dopo ore in cui l’attesa era andata sgocciolando insopportabilmente. Arriva con un messaggio in cui Marrazzo dapprima ribadisce di aver «detto la verità ai magistrati prima che l’intera vicenda fosse di pubblico dominio», ammette essersi trattato «di una vicenda personale in cui sono entrate in gioco mie debolezze inerenti la mia sfera privata e in cui ho sempre agito da solo» e infine concorda, dopo averlo lungamente negato, sul fatto che la sua situazione abbia «assunto un rilievo pubblico di tali dimensioni da rendere oggettivamente e soggettivamente inopportuna la mia permanenza alla guida della Regione». Quindi Marrazzo annuncia la decisione di «autosospendermi immediatamente» e di conferire al «vicepresidente (Esterino Montino, ndr) la delega ad assumere la provvisoria responsabilità di governo e di rappresentanza ai sensi della normativa vigente, rinunciando a ogni indennità e beneficio connessi alla carica». E le dimissioni vere e proprie? Sono rinviate a «un percorso» non meglio specificato nei tempi e nelle modalità.
Un escamotage, quello dell’autosospensione, motivato peraltro da fantomatiche ragioni di salute, scelto dalla maggioranza di centrosinistra nel corso di un febbrile vertice per andare alle elezioni a fine marzo come previsto, e scongiurare il rischio di un voto anticipato che sarebbe disastroso per il Pd. La legge prevede infatti che dal momento dell’addio del presidente della Regione passino 90 giorni per andare al voto. Le urne finirebbero quindi per aprirsi a gennaio, un tempo troppo breve perché il centrosinistra individui un candidato con qualche remota chance di successo. Ricerca che sarà difficile, se è vero che ieri, sentendo puzza di bruciato, si sono smarcati sia Enrico Gasbarra («ribadisco la mia indisponibilità a candidarmi») sia Rosy Bindi («le voci sul mio nome sono del tutto prive di fondamento»), dati tra i nomi più caldi.
Prende piede quindi l’ipotesi di un nuovo ricorso alle primarie per la scelta del candidato governatore: la proposta arriva da Roberto Morassut, segretario del Pd nel Lazio, ansioso di evitare «percorsi poco chiari». E che al pasticcio della sospensione si aggiunga nuovo pasticcio. Anche perché ambienti vicini a Dario Franceschini raccontano di un segretario nazionale uscente del Pd furibondo per la farsa dell’autosospensione di Marrazzo. Meglio sarebbero state delle dimissioni secche, che avrebbero dato a un popolo, quello del Pd, già attapirato, un segnale di chiarezza e integrità. Ma nisba. Anzi, danno e beffa. Già, perché, come annuncia Maurizio Gasparri, il Pdl «sta facendo una verifica per accertare se c’è una violazione della legge in atto alla Regione Lazio. L’autosospensione del presidente, infatti, è collegata ad impedimenti di salute reali. Non può essere una procedura usata pretestuosamente per ritardare le dimissioni».
Resta l’impressione di un partito, il Pd, che da un lato finge di «salvare» Marrazzo per puro interesse, cioè l’esigenza di procrastinare il più possibile il voto, ma dall’altro ha già abbandonato al suo destino l’ex governatore. Già peraltro politicamente screditato da una scriteriata gestione del deficit sanitario da record.

Gli umori gelidi del centrosinistra sono riassunti dal laconico comunicato partorito dai tre candidati alla segreteria del Pd: «La scelta di Marrazzo di dimettersi, attraverso un breve percorso che garantisca il funzionamento della Regione Lazio, è un atto di responsabilità». Addio, povero Piero. Passi il profondo rosso delle casse regionali. Ma il trans, quello proprio no.

A trans con l'auto blu lasciata in doppia fila

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