In Afghanistan, Barack Obama ci è arrivato di prima mattina, per rendersi conto, alla luce del giorno, di come sono veramente le cose a Kabul. Prima, coi suoi compagni di viaggio, il senatore democratico Jack Reed e quello repubblicano Chuck Hagel, ha fatto una tappa a sorpresa in Kuwait, per visitare le truppe americane di stanza nello stato arabo. Nellex dominio dei talebani, il candidato democratico dovrebbe passare due giorni: dopo quello di ieri, più campale, oggi incontrerà il presidente afghano Hamid Karzai.
Si tratta di una tappa cruciale del tour internazionale che Obama effettua insieme ad altri senatori. Il candidato democratico ha detto di «voler vedere di persona la situazione». In realtà, il senatore dell'Illinois sta cercando di recuperare terreno nei confronti del rivale John McCain per quanto riguarda politica estera e sicurezza. I sondaggi infatti lo danno in svantaggio su questi temi, mentre Obama appare anche poco credibile quale futuro comandante in capo delle forze armate statunitensi.
Nella sua prima giornata afghana il senatore nero è stato a Jalalabad, a Bagram, ha visitato la turbolenta provincia di Nangarhar e continua a insistere sulla necessità di incrementare lo sforzo militare nel Paese. Ha affermato che se sarà eletto presidente invierà a Kabul «almeno due brigate da combattimento in più», oltre 10mila uomini, mentre eserciterà forti pressioni sugli alleati Nato affinché si impegnino di più. Su questo anche il rivale McCain potrebbe concordare. Solo che Obama insiste nel considerare l'impegno militare in Irak come una «distrazione» e vuole ritirare i soldati americani dal Paese entro ottobre 2010. Sicuramente un ritiro così rapido rischierebbe di compromettere i risultati ottenuti in Irak attraverso il surge, il potenziamento temporaneo delle forze americane, accompagnato da una nuova strategia militare e politica.
Forse qualche migliaio di soldati potrà essere ritirato a partire da fine settembre e al Pentagono si parla di rimpatriare tre delle 15 brigate operative in Irak nel corso del 2009. Nessuno è pronto a scommettere che si possa accelerare il disimpegno. Lo stesso governo iracheno, che vorrebbe un calendario del ritiro, anche se solo per ragioni di politica interna, sa bene che non potrà gestire da solo la sicurezza prima della fine del 2012, ammesso che tutto fili liscio.
Certo, i comandanti operativi, a partire dal Generale David Petraeus, artefice del nuovo corso in Irak e prossimo comandante del Centcom, il comando che gestisce le operazioni anche in Afghanistan, sarebbero ben lieti di avere soldati in più da impegnare contro i talebani, ma non al costo di sguarnire l'Irak prima che le condizioni lo consentano. Petraeus ha confermato le indiscrezioni della intelligence sulla scelta di Al Qaida di spostare il fulcro delle proprie operazioni e attività in Afghanistan dall'Irak. Il che è logico: concentrarsi sull'Afghanistan porta vantaggi, perché Al Qaida conosce bene il terreno e la popolazione e ha ancora molti sostenitori. Inoltre può sfruttare a piacimento la «retrovia» pakistana, la vera chiave di volta per ottenere un successo a Kabul.
In ogni caso una soluzione esclusivamente militare non è a portata di mano. Non a caso la Gran Bretagna è fautrice di un approccio più pragmatico nei confronti dei talebani, anche a costo di concedere al Paese una forma di sharia. È chiaro che i talebani, supportati o meno da Al Qaida, non hanno la forza militare per scacciare la forza a guida Nato, Isaf e le truppe statunitensi di Enduring Freedom. Finché le truppe internazionali resteranno in Afghanistan i talebani non potranno rovesciare il governo di Karzai. La guerra guerreggiata è però estremamente costosa, pericolosa (le perdite Usa in Afghanistan superano spesso quelle subite in Irak) e logorante.
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.