«“Mediterraneo”? Non lo volevo fare Pensa che intuito...»

È che gli altri (Salvatores, Abatantuono, Bisio...) erano già tutti partiti. E ogni tanto lo chiamavano pure. Per raccontargli quanto si stessero divertendo laggiù. Così lui se la prese un po’ e quando gli chiesero di raggiungerli fece il ritroso. Ci volevano tre aerei per scapicollarsi fin là, lui era impegnato a teatro e ormai si sentiva un ripiego. Per di più gli offrivano (fuori tempo) un piccolo ruolo. Fu Bisio a convincerlo che il pilota Carmelo La Rosa era un personaggio che gli avrebbe dato una certa soddisfazione. Così, alla fine, Antonio Catania si prese quei tre benedetti aerei e li raggiunse sull’isoletta greca per girare Mediterraneo. «Arrivai verde in faccia e stravolto. Due ore dopo ero già abbronzato e ballavo sui tavoli sgangherati di un locale divertentissimo. La metamorfosi più repentina a cui mi sia mai capitato di assistere. Su me stesso per giunta. Non volevo più tornare a casa». Era il 1991 e a casa, alla fine, Catania ci tornò. Però quell’esperienza che nemmeno voleva fare ci ha messo anni a sciogliersela di dosso. Era un posto magico e magico fu quel film. «Negli anni Settanta avevo iniziato con Salvatores a teatro. Ci arrangiavamo a fare di tutto, guidavamo il camion, montavamo le scenografie, vagavamo per i paesini di tutta Italia e portavamo in scena spettacoli lunghissimi, con un sacco di cambi. Ma eravamo giovani e pieni di fuoco. Quando Gabriele passò al cinema salìì con lui anche su quel carro, che poi si rivelò vincente. Ancora oggi, su ogni set, cerco di riprodurre un po’ quell’atmosfera». Con Diego Abatantuono, si è rincontrato (professionalmente) anche qualche anno fa, nella fiction Il giudice Mastrangelo: «Abbiamo improvvisato tanto, cosa che normalmente la tv non ti permette di fare perché ha ruoli e tempi più stretti. Ma a noi piace perché l’improvvisazione dà una verità che la pagina scritta non può avere». Merito degli anni meneghini, quelli al cabaret con, tra gli altri, Aldo Giovanni e Giacomo. Merito della prima delle sue tre vite: una per luogo. Milano, la campagna romagnola in cui si trasferì per lavorare a teatro con Paolo Rossi portando in scena La commedia per tre lire, e Roma dove vive oggi e dove si è messo a lavorare al cinema con «i romani»: Verdone, Moretti...
«Tolto qualche ruolo, come quello in Il carniere o In barca a vela contromano, sono sempre stato un po’ caratterizzato purtroppo. Sono stati pochi i registi che hanno creduto in me anche come attore drammatico o comunque per cose più complesse. Non so perché e me ne dispiace». Di solito gli mettono addosso il poco di buono, lo sbruffoncello moralmente piccino che nasconde un lato debole, che copre a stento qualche fragilità, che tramesca sotto traccia e in qualche modo la spunta. Però un simpatico, alla fine. Perché nella vita ha una faccia diretta ma nei copioni gli affibbiano sempre un’anima obliqua. Spesso gli fanno portare in scena una sensibilità un po’ ottusa silenziata da altre esigenze primarie, distratta da innocui affarucoli più urgenti.
Come nel Giudice Mastrangelo dove incarna alla perfezione una certa filosofia del sud: quella dell’ozio, del buon cibo, delle mollezze, della natura... O in Tutti per Bruno dove interpreta il poliziotto accanto a Claudio Amendola, o anche in Ho sposato uno sbirro con Flavio Insinna, in cui è l’ispettore Giuseppe Lojacono.
A cinquantotto anni avrebbe voglia di essere messo alla prova un po’ di più. Avrebbe i numeri per essere messo alla prova un po’ di più. Ma in fondo gli va bene anche così, perché è tendenzialmente un pigro abituato a mediare, incline a smussare le difficoltà e le spigolosità altrui, un tollerante con il talento del compromesso, in senso buono. È esente da divismo. «Ci sarà ben un motivo se riesco a fare “coppia” con tutti quelli con cui lavoro.

Se spesso, quando la gente mi vede con un collega sul set mi dice “sembra che abbiate sempre recitato assieme, siete affiatati”. Qualche merito lo avrò anch’io... Il fatto è che so essere complice, mi viene naturale. Perciò, in fin dei conti, quel che mi auguro me lo merito».

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