
Nella prefazione al Senso religioso di don Giussani, l'allora arcivescovo di Buenos Aires Jorge Mario Bergoglio scriveva: «Il dramma del mondo di oggi è il risultato non solo dell'assenza di Dio, ma anche e soprattutto dell'assenza dell'uomo».
Ecco, quell'io breve e ferito è stato il centro del pontificato di Papa Francesco. La Chiesa non deve staccarsi dalla verità di Cristo che porta sulle spalle da duemila anni, ma deve chinarsi sulle fragilità degli uomini e delle donne di oggi. Dio è la risposta, ma se la domanda si affievolisce fino a diventare un bisbiglio che si perde nel fragore della contemporaneità, allora tutto si fa più difficile.
Ecco che la cifra di Francesco si può riassumere in un'immagine che lui stesso ha formato: la Chiesa come un ospedale da campo. La Chiesa che non discetta di argomenti rarefatti per il piacere intellettuale di un'élite, ma viene incontro all'umanità che soffre, che muore di fame, che subisce guerre e bombardamenti, che migra e viene discriminata per i suoi orientamenti sessuali.
«Io vedo la Chiesa - osservava Bergoglio in una celebre e lunghissima intervista a padre Antonio Spadaro per La Civiltà Cattolica - come un ospedale da campo dopo una battaglia. È inutile chiedere a un ferito grave se ha il colesterolo e gli zuccheri alti. Si devono curare le sue ferite. Poi potremo parlare di tutto il resto... E bisogna cominciare dal basso».
Sì, dal basso. Dai più disperati fra i più poveri. Dagli esclusi e dai dimenticati. Dai reietti. Forse in questo lo aiutava la sua storia personale, il fatto di arrivare dall'altra parte del mondo, dall'Argentina, e di non essere legato a filo doppio, come Benedetto XVI che l'aveva preceduto sul trono di Pietro, alla cultura europea.
Certo, non l'ha favorito il contesto internazionale che pure ha reso in qualche modo ancora più urgenti e quasi profetiche le sue parole accorate: quando parlava di Terza guerra mondiale a pezzi, molti pensavano ad un'esagerazione dettata dalla sua sensibilità, oggi, da Gaza a Kiev, si capisce che aveva ragione. Ecco, dunque, i viaggi nei luoghi più impensati e remoti della terra, da Timor Est a Lampedusa, rifiutando invece lo sfarzo e la grandeur di Parigi per la riapertura di Notre Dame; e poi le nomine di vescovi e cardinali pescati spesso fuori dalle logiche tradizionali, con promozioni anche qui sorprendenti di figure magari carismatiche ma legate a realtà periferiche o quasi esotiche.
Bergoglio nella sua ansia di rinnovamento non ha avuto paura di sovvertire tradizioni e consuetudini secolari: ecco, per fare un esempio clamoroso, che diventa cardinale il vescovo di Como, Oscar Cantoni, ma non quello di Milano, Mario Delpini, una situazione che prima di lui sarebbe stata inimmaginabile.
Ma Bergoglio segue questo itinerario: rovescia, capovolge, spinge avanti la Chiesa della carità, la Chiesa che sta in prima linea, la Chiesa che prima di definire e di giudicare dà una carezza e un pezzo di pane. Una Chiesa che non si fa ingabbiare nelle questioni morali, come vorrebbe la logica mondana: il cristianesimo non può essere rinchiuso in una selva di precetti e obblighi, no, l'asticella sta molto più in alto e riguarda la libertà e la verità di ciascuno di noi, anche se equivoci e fraintendimenti sono facilissimi. «Non possiamo insistere solo sulle questioni legate ad aborto, matrimonio omosessuale, uso dei metodi contraccettivi - spiega sempre nell'intervista a Spadaro - Questo non è possibile... Io non ho parlato molto di queste cose e questo mi è stato rimproverato. Il parere della Chiesa, del resto lo si conosce, e io sono figlio della Chiesa, ma non è necessario parlarne in continuazione».
In realtà su questi temi, a cominciare dall'aborto, Bergoglio è un conservatore, ma Francesco vuole entrare in contatto, in empatia, con la donna che ha abortito. E con l'omosessuale che magari è stato cacciato dalla comunità. E così, sull'aereo papale, il Papa se ne esce con la celebre frase: «Chi sono io per giudicare un gay?».
Il Papa preferisce gli ultimi, i diseredati, i carcerati, i profughi. A tutte le latitudini. Qualcuno, fatalmente, comincia ad attaccarlo e gli contesta di aver schiacciato la Chiesa sulle classi subalterne, togliendola dal groviglio del mondo e dell'Occidente. Ma è una critica ingiusta, anche se il pendolo del Pontefice va più da una parte che dall'altra: sta con i palestinesi di Gaza e contro Netanyahu, attacca Trump ma in realtà non risparmia nemmeno Kamala Harris. «Ognuno - afferma alla vigilia del voto - scelga il male minore. Ambedue sono contro la vita». Attacca la Nato, che è «andata ad abbaiare» ai confini della Russia, ma certo non è filoputiniano. E in Italia stabilisce un ottimo rapporto con Giorgia Meloni, che lo va a trovare anche al Gemelli, solo due mesi fa.
La Chiesa lo segue a volte con fatica, ma non è facile per nessuno cogliere i segni dei tempi. Dialoga con i Movimenti, anche imponendo bruschi cambiamenti ai vertici, ma rispettandone il carisma originale. L'ala più conservatrice, quella che si finanzia negli Usa, non lo ama e, anzi, lo attacca. Talvolta frontalmente.
Ma Francesco non può nemmeno essere incasellato fra i progressisti, ammesso che il vocabolo abbia
ancora un senso. Di sicuro, il collegio dei cardinali, rinnovato con dieci concistori, è oggi in sintonia con Francesco. Molte eminenze non si conoscono fra di loro, ma riflettono il pensiero di Francesco e sono la sua Chiesa.
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