Metropolitana, il giorno dopo vince la paura

Daniele Petraroli

Quanto l’incidente di martedì abbia colpito i romani lo si capisce passeggiando nei vagoni e sulle banchine della linea A della metropolitana. Ieri mattina, a ventiquattr’ore dal tamponamento costato la vita alla giovane ricercatrice universitaria di Pontecorvo, l’atmosfera appariva irreale. Nessun affollamento di persone, niente calca per salire sui binari e, addirittura, si vedevano alcuni posti a sedere liberi. «Diciamo che è arrivato circa il 60 per cento degli utenti abituali - spiega Giuseppe, controllore ai tornelli alla fermata Spagna -. Ho notato maggiore apprensione da parte delle persone ma giusto perché non sapevano quali fermate sarebbero rimaste chiuse (cancelli serrati ieri solo a piazza Vittorio ma sono stati aperti nuovamente questa mattina, ndr). Noi del personale adesso siamo un po’ più tranquilli, anche se è brutto dirlo ora, perché forse dopo la tragedia la dirigenza ha capito i problemi di sicurezza che ci sono sulle linee».
In banchina sempre a Spagna, ieri pomeriggio, pochissime persone. Ma chi ha deciso di sfidare il destino lo ha fatto senza problemi. «Mi sento assolutamente tranquillo - racconta Matteo studente-lavoratore -. Fino alla scorsa settimana prendevo solo la B, adesso per il lavoro devo prendere anche la A ma francamente non capisco perché dovrei avere paura». Stessa opinione per Angela, 35 anni e un bimbo in arrivo. «Un incidente può sempre capitare - dice mentre il convoglio viaggia verso Termini - le vittime sulla strada sono molte di più. Anzi devo dire che mi ha stupito positivamente la velocità dei soccorsi».
Mentre si procede verso il luogo del disastro, però, nonostante le tante parole, sui volti si legge un po’ di preoccupazione e la mente non può che andare alla ragazza rimasta sotto le lamiere martedì. Anche perché tra Termini e San Giovanni la voce registrata all’altoparlante annuncia proprio «Vittorio» come stazione successiva. «A essere sincera la notizia mi ha molto turbata - ammette Laura, 40 anni sulla banchina di San Giovanni -. Da un anno sono costretta per lavoro a muovermi in metro da qui a piazzale Flaminio proprio intorno alle nove e mezza quando è avvenuto l’incidente. All’inizio avevo molta paura per via del terrorismo islamico però adesso è subentrata l’ineluttabilità. E poi non ho altro modo per spostarmi». Al club dei realisti a tutti i costi va iscritto di buon diritto anche Luigi, 50 anni, poliziotto: «Allora non dovremmo prendere nemmeno l’automobile visto che ogni giorno si sono incidenti mortali. Sì è vero, oggi l’afflusso è stato minore e forse lo sarà anche domani ma al massimo da lunedì la situazione sarà tornata alla normalità. Se non si è un minimo fatalisti non si vive più d’altronde».
Tanti i «coraggiosi» sulla linea dunque, ma poi, sotto sotto, a temere un nuovo disastro sono in molti. «Stamattina sono andato a scuola con alcuni miei compagni - racconta Marco, 17 anni - e avevo un po’ paura. Ieri (martedì, ndr) soprattutto i miei genitori erano molto ansiosi perché sapevano che sarei dovuto entrare alla seconda ora e con il cellulare non riuscivano a mettersi in contatto con me. Quando è successo l’incidente io mi trovato già a scuola. Appena ho saputo il fatto li ho subito chiamati e mia madre ha tirato un sospiro di sollievo».

«In fondo gli incidenti sono cose che capitano - esordisce Emilio, 68 anni utente occasionale della A, che però poi ammette -. Be’, un po’ d’apprensione c’è ma alla fine se non abbiamo altri mezzi di trasporto siamo costretti a usarla. Che dire? Speriamo bene!». Già, speriamo bene.

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