«La mia cucina di montagna in cui imparo dalle rinunce»

Lo chef altoatesino, da poco tristellato, si racconta: «La vera creatività si alimenta soltanto delle scelte»

Andrea Cuomo

Norbert Niederkofler ha 56 anni, un nome (quasi) impronunciabile e una cucina nel ristorante di un hotel di San Cassiano, in Alta Badia (l'albergo si chiama Rosa Albina, il ristorante Sankt Hubertus). NN ha barba bianca, occhiali spessi, viso da professore di filosofia che ti torchia ma alla fine promuove tutti, chiacchiera nitida e antiretorica, lontana da certi toni predicatorî da chef-à-penser che a chi scrive (e solo a chi scrive, a quanto pare) stanno da tempo sui coglioni. NN è il nuovo ambasciatore di Lavazza,a cui lo unisce la sensibilità sui tempi della sostenibilità e in questa veste lo intervistiamo ai margini di Care's, la manifestazione che organizza da qualche anno tra le sue montagne, destinata a far ragionare sui temi dell'etica in cucina (anche se poi molti tra colleghi, blogger e influencer disertano la sala dove si discetta di lotta allo spreco alimentare per assaltare il buffet).

Ah, NN è anche da qualche mese il nono chef tristellato italiano.

Partiamo dalla terza stella, Norbert.

«Il giorno dopo la notizia che avevo preso la terza stella, a novembre, ho fatto un bel discorso con Lovrinovich (Sergio, direttore della guida Michelin, ndr) e lui mi ha detto: Norbert, ma tu ti sei reso conto che tu due anni fa avevi tre ragazzi tuoi che l'anno scorso hanno preso la stella e l'anno scorso avevi tre ragazzi che quest'anno hanno preso la stella e uno che da una è passato a due?».

Quindi il ruolo di un tristellato è far crescere i giovani?

«Far vedere ai giovani cuochi che c'è un futuro, che puoi fare grandi cose, basta solo volere. Che devi avere rispetto nei confronti del cliente, di chi lavora con te, dei prodotti, dei produttori. La star oggi in cucina non è il cuoco ma il prodotto».

Difficile farlo capire a chi cresce con le star della cucina a ogni ora in tv...

«La tv è il vero problema. Ha fatto tante cose buone ma ha mandato anche un po' fuori regime la cucina. Cucinare e andare in tv sono due mestieri diversi».

Lei da qualche anno ha sposato la filosofia del cook the mountain. Cucina la montagna...

«Quando si consapevole delle tue radici puoi fare grandi cose. Noi abbiamo ottenuto risultati quando abbiamo fatto delle scelte. Abbiamo tolto gli agrumi. E si sono spalancate altre porta, perché abbiamo dovuto trovare l'acidità altrove. Se hai tutto è facile, ma è il senza che alimenta la creatività».

Cucina della semplicità?

«Noi abbiamo scelto di lavorare direttamente con i contadini, che vuol dire entrare nella loro testa. Non è che io posso andare da un allevatore e chiedere solo cinquanta chili di filetto. Lui mi risponde: e col resto che cosa faccio? Quindi prendo tutto e capisco che cosa farci. Per questo io servo sempre i secondi in due portate, una nobile e una meno. E i contadini, un giorno ti mandano un chilo di pomodori e il giorno dopo cinquanta. E allora devi imparare a conservare, preservare, utilizzare a 360 gradi».

Facile?

«Per niente. Devi avere una formazione classica. E i giovani quasi mai ce l'hanno. Da noi i ragazzi ti portano un curriculum che è lungo due chilometri, ma sono un mese qui, due mesi là, un altro mese su e alla fine non sanno fanno fare nulla».

Il menu è deciso dalla natura?

«Certo, noi non sappiamo mai che cosa ci arriva. Però tu riscopri il senso del tempo. Gli asparagi mica ci sono sempre».

Che cosa significa questo nuovo ruolo di ambasciatore Lavazza?

«Ci unisce l'attenzione per i contadini, l'andare da loro direttamente. Loro hanno il progetto Tierra!, che mi piace tantissimo. Noi andiamo dai contadini e non tiriamo mai sul prezzo, li sosteniamo. E poi sa che mi piace?».

Dica.

«Porterò in giro per il mondo l'Italia. Io che sono nato sotto la vetta d'Italia mi sento molto più italiano di tanti altri. Forse perché ho vissuto quindici anni all'estero e l'Italia si apprezza solo quando ti allontani».

Il caffè lo usa come ingrediente?

«Il caffè con la tostatura che ha, con l'acidità che ha, in certi piatti ci sta benissimo. Per me i piatti devono essere sempre equilibrati, la cucina è yin e yang e puoi avere bisogno di qualcosa di tostato e affumicato».

Che cosa le ha portato la terza stella?

«La consapevolezza. Noi non abbiamo i milioni che girano nelle grandi città, ma abbiamo cuore, anima, pensiero. Non puoi portare le persone qui e far mangiare loro le stesse cose che possono trovare a New York o a Londra. Oggi raccontare storie è importante, ma ho detto storie, non balle. Anche perché le balle non passano più».

Lei una volta ci

ha detto: datemi tre o quattro portate e vi dirò che carattere ha un cuoco. Lei che carattere ha?

«Molto lineare, molto dritto, molto pulito. Ma se usi solo tre o quattro ingredienti, non hai nulla dietro cui nasconderti».

Commenti
Disclaimer
I commenti saranno accettati:
  • dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
  • sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.
Accedi
ilGiornale.it Logo Ricarica