«La mia vita al Gorla con Luciano Tajoli»

Da 53 anni vive al Redaelli, l’istituto geriatrico di piazza delle Bande Nere. Si chiama Fernanda Delfi, 87 anni, tutti passati tra un istituto e l’altro. Nata poliomielitica alla Mangiagalli, venne subito abbandonata dalla madre sui gradini della chiesa di sant’Antonio. E da lì finì al brefotrofio, per passare ai «rachitici», poi al Golgi di Abbiategrasso, per finire al Redaelli, dove ha una stanza tutta per sé. Ormai la sua casa. «Qui comando io» dice con ironia a tutti quelli che incontra.
C’era anche lei l’altro giorno all’auditorium del Redaelli alla presentazione del libro «Mai soli», una raccolta di storie di ospiti dell’istituto raccontate in prima persona. E mentre l’attrice leggeva la sua storia, Fernanda rompeva il silenzio in sala con le sue risate di emozione. Fernanda è comunque il nome affibbiatole dagli assistenti sociali del Comune, perché nei registri del «brefo» è iscritta come Delfi Delfina.
Da sempre l’hobby di cui va fiera è la poesia. Come quella «dedicata» alla mamma: «Nata da madre snaturata/da lei fui abbandonata/negli istituti son cresciuta/ alle Bande nere mi hanno sbattuta/ e la mamma l’è una farabutta». La madre. Segno di odio e amore. Continua a raccontare Fernanda: «Una volta ho fatto un tema: “Il giorno più bello della mia vita è stato quando ho trovato la mia mamma”». L’ha cercata per tutta la vita, invano.
Dopo cinque anni di brefotrofio viene trasferita all’Istituto dei rachitici di Gorla, dove ricorda un compagno diventato poi famoso. «Luciano Tajoli, mio compagno di banco. Ne facevamo di tutti i colori. Si stava bene lì a Gorla, tutti bambini, non come qui che sono tutti vecchi».
Una vita in istituto da dove però una volta usciva per andare a lavorare. Come babysitter, in casa di Angelo Rizzoli, per 10 anni. Poi come domestica in una serie di altre famiglie milanesi. Perché il lavoro per tutti i «derelitti» come Fernanda ospiti di questi istituti, era un passaggio necessario. «Abbiamo voluto raccogliere le testimonianze di alcuni “nonni speciali” – spiega Rodolfo Masto, il presidente del consiglio di amministrazione –. Persone che hanno vissuto la propria esistenza nei nostri istituti: donne e uomini protagonisti di vicende non comuni o segnati da particolari disagi, per i quali questi luoghi si sono trasformati in famiglia, in casa».


La maggioranza dei protagonisti di questi racconti erano già in istituto negli anni della guerra e del dopoguerra. «Ma – conclude Rodolfo Masto – nonostante i grandi problemi e la povertà di tutta la società italiana a queste persone Milano riusciva a garantire un’esistenza dignitosa».

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