Milano capolinea del Cannonball. Sfida tra super auto a 230 all’ora

Capita sempre più spesso che la polizia fermi Ferrari e Lamborghini che si sfidano a tutta velocità. Proprio come nel film che ha fatto epoca

Domenica bestiale. Non è la prima volta. Probabilmente non sarà neanche l’ultima. E’ questione di qualche giorno fa: tre allegri buontemponi (si fa per dire) di nazionalità italiana (due milanesi e un romano), sono stati pizzicati dalla polizia svizzera a correre «per gioco», con le loro Ferrari, a 230 km orari sull’Autostrada A2, nei pressi di Bellinzona. Per i malaccorti driver, destino segnato: divieto di circolare in automobile su territorio elvetico e cauzione da oltre 7000 franchi, in attesa del verbale definitivo (certamente molto più salato). La solita bravata all’italiana? Può darsi, visto che gli stessi responsabili hanno ammesso il fatto. Ma guidare all’impazzata per puro gusto della velocità o per scommessa è sempre di moda o, piuttosto, è roba di un secolo passato (e irripetibile)? E come sono nate le corse clandestine in automobile? E, soprattutto, ci sono ancora?
Andiamo per gradi. Difficile dire esattamente quando è nata la prima corsa clandestina della storia, per via della sua natura biologica: la clandestinità, appunto. Più facile definirne contorni e regole. Anche perchè l’unica regola che le caratterizzava era proprio la mancanza di regole. Pare che fosse un piccolo manipolo di appassionati delle quattro ruote ad inventarsi, alla fine degli anni Settanta, sull’altro lato dell’Atlantico, una sfida tutta adrenalina: una corsa no stop, a tavoletta, da New York City a Long Beach (Los Angeles), attraverso l’America, con l’unico «vincolo» di evitare incontri ravvicinati con la polizia. Il premio? Arrivare primi, indipendentemente dal mezzo utilizzato e dai sistemi adottati. Unico giudice: l’orologio. Conseguenze pratiche: mai un incidente. Piccolo particolare: la chiamano Cannonball (palla di cannone), e non è difficile capire perchè. Bene: questo format, come direbbero oggi gli esperti di marketing, ha presto filiato decine di emuli, al punto da ispirare perfino la vecchia Hollywood e la sua proficua industria di celluloide: chi non si ricorda l’allegra e divertente commedia The Cannonball run (La corsa più pazza d’America) del 1981, con spassionati simpaticoni del calibro di Burt Reynolds, Roger Moore, Farrah Fawcett, Sammy Davis Junior e Dean Martin?
Diciamo la verità, a scanso di equivoci. Gli organizzatori erano, come si direbbe negli odierni talk show televisivi, tutta gente per bene. Bravi ragazzi tra i trenta e i quaranta, perfettamente in salute e col tasso alcolemico a zero, animati da un unico combustibile: una sfrenata passione per l’automobile e per la libertà, di cui la quattroruote è da sempre strumento per antonomasia. Poi sono, come sempre succede, arrivate le copie, più o meno ammantate di (pseudo) ufficialità, con le immancabili (e rovinose) derive commerciali. Ma quando viene meno il fascino della galera (soprattutto se sei costretto a passarci prima del via, come al Monopoli), inevitabilmente cade tutto il castello.
Sta di fatto che il tam tam si mette in azione, e le imprese degli ultimi raider d’America giungono presto anche al di qua dell’Atlantico. Ma dura poco. Almeno ufficialmente.
Del resto, è difficile individuare delle corse organizzate nel più assoluto anominato, altrimenti la clandestinità andrebbe a farsi benedire. Per capirci: stiamo parlando di «competizioni» che certamente, benchè oltre i limiti della legge, sono animate da spirito sportivo, senza fini di lucro (le scommesse organizzate sono bandite), e con auto di qualsiasi cilindrata e potenza, grandi e piccole. Insomma, le pazzesche gare d’accelerazione sui vialoni delle periferie milanesi, che hanno visto negli anni passati giovani e giovanissimi in preda allo sballo da alcool o stupefacenti, a bordo delle loro «sportive» regalate da papà al conseguimento della patente, sono tutta un’altra storia. E, su questo fronte, capitolo chiuso. Come confermano le centrali di polizia del capoluogo lombardo. E’ bastata - per fortuna - una breve stagione di controlli e appostamenti giusti, con annesse «stangate» in termini di sanzioni, per far passare i bollori a giovani e giovanissimi incoscienti.
Ma il profumo della libertà espressa in chilometri orari, sotto sotto, ha un fascino da non resistere. Del resto, non è un segreto quasi per nessuno che proprio a Milano, provenienti anche da oltreconfine, si danno appuntamento gli «spiriti liberi» della velocità sulle loro super car (e non solo). Scopo del gioco: imboccare dalla tangenziale Ovest, a gruppetti sparuti e ormai solo di notte, causa traffico e per non dare nell’occhio, l’Autostrada A7 Milano-Genova, procedere lemme lemme fino all’uscita di Serravalle Scrivia, e poi giù a manetta spalancata fino a Genova. Rigorosamente ed esclusivamente sulla carreggiata Sud, percorrendo in discesa quella che, prima dell’avvento dell’autostrada, era la cosiddetta «camionabile», con le sue impegnative traiettorie, una via l’altra.

Certo, la presenza sempre più fitta e pressante dei controlli delle autorità rende la vita dura a questa specie in via di estinzione di «ultimi romantici» della velocità, che spesso ci lasciano lo zampino. Ma il gusto del rischio, alla fine, tiene ancora.

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