Basilico, scatti al cuore della città

A Porta Nuova un'antologica fa rivivere il suo gran teatro di grattacieli, fabbriche e cantieri

Non si dovrebbe, ma come si fa a scrivere di Gabriele Basilico distinguendo il grande fotografo e artista dall'uomo scherzoso (rideva per una filastrocca genovese imparata chissà da chi) che rubacchiava biscotti proibiti nell'albergo steineriano di Roncegno, dove si metteva a dieta. Proprio lui, che mai fu grasso, ma che amava ogni estate rigenerarsi con succo d'acero, verdure e tisane. Non si dovrebbe, ma un'amicizia lunga (circa 25 anni) non si dimentica, anche se uno dei due non c'è più. Non c'è più il Gabriele in carne e ossa ma c'è sempre, e così sarà in futuro, il Basilico che ha guardato a suo modo, rigoroso e umano, il gran teatro dei grattacieli, delle strade, dei porti, delle ciminiere.Al Pavilion Unicredit in piazza Gae Aulenti, dal 18 dicembre al 31 gennaio è allestita una mostra curata da Walter Guadagnini che racconta in 142 fotografie la lettura delle metropoli da parte di Basilico. Dal lavoro fondamentale per la fotografia del '900 - i «Ritratti di fabbriche» realizzati nella sua Milano, che lo rivelarono straordinario talento negli anni '70 - alle immagini di Istanbul, Mosca, San Francisco, Roma. E Milano, prima «città interrotta», poi metropoli che sfida il cielo con il nuovo baricentro di Porta Nuova; e Beirut, dilaniata dalla guerra. La nostra amicizia cominciò quando Basilico aveva appena terminato il lavoro sul paesaggio francese, commissionato dal ministero della cultura d'Oltralpe a fine anni '80. La moglie di Gabriele (Giovanna Calvenzi, curatrice della memoria culturale del marito), con la quale lavoravo al «Corriere», si mise in testa di insegnarmi la differenza «tra una foto grande e una grande foto». La capii subito guardando la foto di un villaggio di Normandia, che nell'intenso bianconero ricordava i pittori fiamminghi. Con il passare del tempo, grazie a Giovanna e alle suggestioni dell'amicizia, ho imparato a inquadrare il lavoro di Basilico nel contesto artistico e culturale. Ho pure scritto di lui, in giornali e riviste, o per libri su lavori suoi forse marginali: come una commissione giornalistica, degli anni '70, sui corpi abbronzati. Ero orgoglioso dell'amicizia di Basilico, mi sembrava impossibile che un simile artista mangiasse la pizza con me, cantasse le canzoni di De Andrè mentre ci tuffavamo a Minorca. La complessità dello sguardo, che gli ha permesso di documentare l'evolversi delle metropoli, si accompagnava a un'empatia umana che metteva a proprio agio chi divideva tempo con lui.

Non era modesto: aveva chiaro quanto il suo lavoro fosse una tappa fondamentale nel contesto visivo del secolo. Milano l'amava di amore vero: suo faro fu Alberto Savinio, che con «Ascolto il tuo cuore, città» (titolo anche della mostra) mise in pagina una devozione anche verso i difetti meneghini.

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