Un bocconiano per rilanciare il menù del Savini in Galleria

Il locale aperto fin dall'inaugurazione nell'anno 1867 oggi è un ristorante, ma anche pasticceria e caffetteria

Michele Vanossi

Mette un po' di soggezione quando ci si passa accanto. Forse perché è da sempre un simbolo della borghesia milanese, forse perché è sempre stato il tempio gourmet per eccellenza che ha deliziato il palato di attori, attrici, cantanti, capi di stato, supermanager, personaggi illustri (Maria Callas incontrava qui Aristotele Onassis). O forse anche perché esiste da sempre, perlomeno da quando è stata inaugurata la splendida Galleria Vittorio Emanuele II (correva l'anno 1867).

Raccontare la lunga e fastosa storia del ristorante Savini, compresi i vari passaggi di proprietà, sarebbe interessante ma impossibile per ragioni di spazio. I progetti e i programmi futuri di questo grande marchio della ristorazione italiana appassionano invece non solo il giovane Ceo (e proprietario) Sebastian Gatto, ma tutti i dipendenti che lavorano in sinergia per ridare a Milano il simbolo di un'identità che nei decenni ha perso un po' il mordente, ma che sta riconquistando il gradimento dei milanesi e degli stranieri. Il locale che è anche un'ottima pasticceria e caffetteria è composto da due unità: un bistrot con dehors (110 posti a sedere) e un ristorante con due salette annesse (70 posti).

La cucina è diretta da sette anni dal trentaquattrenne Executive Chef Giovanni Bon (formatosi alla scuola di Cracco, Sadler e Alain Ducasse) con la sua brigata composta da sedici ragazzi che hanno un'età media di 25 anni. Bon insieme al giovane e rampante Sebastian Gatto, bocconiano e figlio di ristoratori, sta sviluppando un ambizioso progetto di rilancio del ristorante che prevede anche eventi in grado di abbracciare e di coccolare una clientela trasversale. Mediterranea ed emozionale, la cucina del Savini è un inno alla tradizione: non mancano nel menù del ristorante più storico della città i capisaldi della cucina meneghina, alcuni piatti regionali italiani e soprattutto ricette che sono il frutto della ricerca, dell'innovazione, della creatività e della continua sperimentazione. «Le materie prime arrivano direttamente dai migliori produttori locali, difficilmente proponiamo piatti estemporanei, è importante dare una linea per creare una visione di insieme dei menù; proprio per questo la composizione e la scelta anche di quelli stagionali non è casuale, ma è frutto di un lungo e attento studio e lavoro non solo a livello gustativo ma anche visivo e di presentazione che coinvolge tutto lo staff e i top client», spiega Gatto. Come il riso in verde al profumo di basilico, lupini di mare al forno e salsa Riesling, il filetto di triglia alla plancia con asparagi bianchi, lardo di Colonnata e acqua di pomodoro. «È importante che i piatti siano ben identificabili e che tutti gli ingredienti siano ben riconoscibili in ogni preparazione», racconta Bon, l'executive chef. Da non sottovalutare la carta dei vini che comprende le etichette delle più importanti grandi e piccole case vitivinicole italiane e anche molte straniere.

Prezzi medi per cenare o pranzare? «Al bistrot si spendono circa 20 euro a piatto, al ristorante i prezzi si aggirano dai 20 ai 35 euro a portata, quindi con 80-90 euro si possono assaggiare almeno 3 piatti; il prezzo medio per i menù degustazione varia dagli 80 ai 130 euro». Vini esclusi.

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