Case Aler occupate: ora scoppia la guerra tra italiani e rom

Molti nomadi allontanati dai campi vivono da abusivi in via Quarti Ma i residenti non ci stanno. E qualcuno ha bruciato auto e roulotte

Auto bruciate nel quartiere Baggio
Auto bruciate nel quartiere Baggio

Da soli, i numeri ufficiali forniti da Aler potrebbero dar corpo a un romanzo di molte pagine: 45 fabbricati, 451 alloggi, 103 occupanti abusivi. Una storia disgraziata, s'intende, quella che emerge tra i corridoi-cunicoli dei sette casermoni popolari di via Quarti, a Baggio. Mini appartamenti, anche sette per piano, dove la gente sopravvive solo perché quando paga l'affitto, calcolato in base al reddito, è un'inezia se si pensa che parliamo di Milano: si va da un minimo di 150 euro mensili a un massimo di 600, spese comprese. Quando occupano abusivamente, invece, quelle stesse persone ci mettono radici, piazzando magari altre due generazioni, figli e i nipoti, dopo aver sfondato porte di alloggi che spetterebbero ad altri ma chi se ne importa.
Con il passare del tempo la struttura si è deteriorata come i rapporti tra la gente che ci vive e accusa Aler di non provvedere da almeno 5 anni ad assegnazioni e di non occuparsi di problemi abitativi e di manutenzione. Dopo qualche «stagione» di relativa serenità - il cui culmine è stato raggiunto dall'autogestione del verde e delle imprese di pulizie del Comitato di via Quarti - tutto è fermo. Ed è arrivato il degrado totale, sfociato in una lotta tra poveri dove basta un nonnulla per far scoppiare una miccia già bollente. Da agosto, infatti, sono arrivati a ondate i rom provenienti dai vari sgomberi cittadini. E hanno cominciato a occupare appartamenti vuoti, prima con 3-4 persone. Subito dopo hanno però sistemato una ventina di letti uno accanto all'altro creando negli alloggi al piano terra detti «villette» e in origine destinati a disabili e anziani, veri e propri dormitori. E assumendo atteggiamenti strafottenti che li hanno messi contro agli italiani. «Io stesso ho paura a passare davanti alle villette: se va bene m'insultano» spiega Giuseppe Calabrò, 66 anni.
Difficile spiegare a chi abita in via Quarti, tra i numeri civici 11 e 54, che i nomadi non costituiscono una calamità e che non possono dissolversi così come sono arrivati: mandati via da un campo, devono pur trovare un'altra sistemazione. Così accadono fatti come quelli avvenuti tra sabato e domenica. Quando un nomade che guidava in maniera maldestra, ha quasi investito un bimbo italiano e si sono viste scene di guerriglia urbana, con macchine e camper bruciati. I carabinieri ancora stanno cercando chi abbia appiccato fuoco a cosa: i «piromani», infatti, hanno agito anonimi e velocissimi e poi sono tornati nell'ombra e se le vetture andate in fiamme sono sicuramente dei rom nessuno si è sognato di rivendicarne l'appartenenza sporgendo la benché minima denuncia: gli scheletri metallici campeggiano in giardino e tengono lontano le grane.
«Cerchiamo di dare un po' di dignità a questi stabili. Così, dopo gli incendi di sabato e domenica, siamo andate a ripulire le piastrelle degli spazi comuni in giardino, dove passeggiano i gatti, i cani ma soprattutto i bambini - ci spiega Nicole C., una 19enne disoccupata che vive con la nonna nella palazzina 10 -. C'è un eccessivo accanimento contro i rom, che in tutto occupano una quarantina di appartamenti. Se si va avanti così, però, prima o poi, anziché bruciare le auto, arriveranno a dar fuoco alle abitazioni dei nomadi. Siamo terrorizzati, mi creda».
Ha fatto molto e continua a fare per la gente di questi stabili, italiani e rom, il presidio territoriale della cooperativa Filo di Arianna che fa capo a Caritas «Lo Stanzino» e che con quattro educatori, coadiuvati da due custodi sociali, negli ultimi due anni ha aiutato almeno 70 bambini ma anche tanti adulti in difficoltà e anziani.

«C'erano stati momenti di grande integrazione e serenità tra i bambini con campetti all'aperto e partite di calcio - ci spiega una mamma profondamente grata all'operato della cooperativa -, ma quel che sta succedendo qui in questi giorni distrugge anni e anni di lavoro».

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