Cova, il mito del caffè che dura da 200 anni

Nel volume delle sorelle Faccioli e illustrato da Giovanni Gastel la storia di un sogno gourmet che resiste e continua

Cova, il mito del caffè che dura da 200 anni

«Quella del Caffè Cova è una storia virtuosa, di etica borghese, una vicenda che vale la pena incorniciare. Insegna che il segreto di tutte le persone che hanno creato qualcosa di vincente e ne hanno fatto il lavoro di una vita è in realtà un vero e proprio metodo, quello che cerco di insegnare anche ai miei allievi: se fai una cosa devi farla bene, senza pensare ai lauti guadagni e all’affermazione personale, ma semplicemente applicandoti, aderendo al tuo progetto in maniera quasi maniacale. Solo così potrai fare bene, magari leggermente meglio degli altri. E a quel punto arriveranno anche il successo e i soldi».

Al «Cova Garden» di via Montenapoleone il principe milanese dei fotografi Giovanni Gastel, insieme al direttore del settimanale Novella 2000 Roberto Alessi, hanno appena ricordato Mario Faccioli che, 14enne, arrivava a Milano in bicicletta la mattina presto dalla campagna pavese per venire a lavorare. A quell’immagine Gastel, che ha lavorato insieme al collega tedesco Harald Gottschalk, ha dedicato una delle immagini più divertenti del volume "Cova, Montenapoleone 1817" (edizioni Assouline) presentato ieri mattina dalle autrici, le figlie dello storico proprietario Faccioli - Paola e Daniela (ma la prefazione è stata curata da Alain Elkann) - per celebrare i 200 anni dalla fondazione della pasticceria milanese «Cova», aperta accanto al Teatro della Scala e trasferitasi poi nel Quadrilatero della Moda, all’ormai storico indirizzo di via Montenapoleone 8. Un prodigio italiano che monsieur Bernard Arnault, a capo dell’impero del lusso Lvmh (un giro d’affari annuo che supera i 30 miliardi di euro) si è aggiudicato nel 2013 pagando circa 33 milioni di euro e sbaragliando in una lotta all’ultimo sangue gli agguerritissimi avversari del gruppo «Prada spa».

Sorseggiando la segreta miscela di caffè, arriva anche una cascata di aneddoti sui clienti celebri, da imprenditori di fama mondiale a star del cinema e della moda, ma in particolare su colei che incarna ancora nella memoria la vera donna milanese, fatta di una lega di glamour, concretezza e ironia tuttora irraggiungibili, Anna Bonomi Bolchini, grande amica e fan dei Faccioli. Per concludere sul carattere non proprio zuccheroso dell’uomo che ha ridato lustro alla storica pasticceria nel 1977, rilevando davanti al notaio un plico di cambiali dal peso di 420 grammi.

«Mario Faccioli? Ha fatto di un mito uno stramito» racconta dopo aver ordinato il solito cappuccino «con tanta schiuma» Lina Sotis, che nel libro offre un vasto contributo di ricordi. Arrivata ieri proprio qualche minuto dopo il sciur Mario. La sua entrata imprevista, alle 10.34, fa emozionare entrambe le figlie, Paola e Daniela, che continuano a gestire il ritrovo gourmet di via Montenapoleone.

«Ecco il papà, non era previsto» sussurrano entrambe le signore quasi stessero per mettersi sull’attenti davanti all’«istituzione» rappresentata dal loro genitore, visibilmente più a proprio agio nel vecchio camice bianco da lavoro che nell’elegante completo blu. O è solo perché preferiamo ricordarcelo così?

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