«Giusto intervenire ma senza allarmismi: non è mica il Bernini»

«Non stiamo parlando del Bernini». Questa è la premessa di Vittorio Sgarbi prima di aprire il nuovo capitolo intitolato alla Galleria Vittorio Emanuele.
Lui che poche settimane fa ha smosso mari e monti per salvare quel che resta della sede storica dell’Alfa in via Gattamelata, ora fa una premessa molto chiara: «È sbagliato pensare che la Galleria sia un’opera di maestri come il Bernini». Secondo l’assessore alla Cultura si tratta di una semplice «Galleria di transito, nata con uno scopo preciso: collegare piazza Duomo con la Scala».
E in effetti questo doveva essere: un corso per le carrozze. Ma un corso talmente bello da guadagnarsi fin dalla sua gestazione l’appellativo di salotto buono della città. Perché diventasse tale, l’architetto Giuseppe Mengoni ne curò ogni minimo dettaglio: dal marmo rosa di Verona, alle griglie ottonate della pavimentazione, che avrebbero dato luce ai sotterranei e ricordato le cattedrali gotiche ai passanti.

Eppure Sgarbi non ha dubbi: «Parliamo di Mengoni, mica di Palladio - precisa - quindi non bisogna pensare a un restauro come quello che occorrerebbe per un’opera d’arte vera e propria, ma piuttosto bisogna studiare un intervento che rispetti la situazione originale senza mitizzare tutta la struttura».

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