"Io, papà Saverio ho Parenti serpenti che mi scaricano"

L'ex spalla di Troisi recita al Carcano da oggi in un testo che è stato un film di Monicelli

"Io, papà Saverio ho Parenti serpenti che mi scaricano"

C'è chi l'ha vista, rivista e vista ancora una volta. Parenti serpenti di Mario Monicelli è la commedia perfetta, ironica e crudele, che più che raccontare, fa ipnosi. Del pubblico. Si resta avvinghiati a quella storia perché è come guardarsi allo specchio. In quell'interno natalizio familiare in terra abruzzese, portato sullo schermo nel 1992, troviamo posto tutti: nella coscrizione obbligatoria delle cene tra parenti, e nei segreti che nascondono cose belle e brutte. La storia di Parenti serpenti aggiunge un risvolto «nero». «Pochi sanno che, prima di essere un film, era un testo teatrale di Carmine Amoroso», spiega Lello Arena, indimenticato compagno di comicità con Massimo Troisi, oggi, dopo duecento repliche, ancora felice di essere papà Saverio nello spettacolo al Carcano da oggi al 19 maggio.

Che cosa l'ha attratta di questo testo?

«La sua origine teatrale. Non a caso, il testo scenico offre una descrizione dei vari protagonisti molto più completa, con più sfumature».

Il confronto col film di Monicelli c'è stato?

«Quello resta un film clamoroso. Ma la forza dello spettacolo teatrale è che trasporta lo spettatore dove questa famiglia va in scena. La sente respirare. Il pubblico può sbirciare dal buco della serratura fisicamente».

La storia è crudele: alla tavola di papà Saverio, colpito da demenza senile si deve decidere chi prenderà con sé il vecchio genitore ma nessuno si fa avanti.

«Anzi, la soluzione è drastica. Papà Saverio fa ridere suo malgrado, come accade con chi è affetto da demenza, ma fa tenerezza. È la tragedia di un gruppo di persone normali».

Siamo un popolo che invecchia, «Parenti serpenti» è ancora un testo attuale?

«Sicuramente. Gli anziani vivono di più, aiutati dalla medicina. Ma se in passato, nei grandi gruppi famigliari, erano una risorsa di memoria e saggezza, ora corrono il rischio di trasformarsi in un problema».

Lei ha ricordi famigliari di questo tipo?

«Avevo uno zio, reduce di guerra che, divenuto anziano, finì allettato, ma nessuno pensò mai all'ospizio. Gli era rimasto il terrore delle armi da fuoco. Io e altri bambini entravamo in stanza con le pistole giocattolo, all'assalto del suo letto. Era un gioco, e alla fine lui lo capiva».

Lei, napoletano doc, ha vissuto a Milano quando lavorava nelle tv Fininvest: che rapporti ha con la

città?

«Fantastico, come molti napoletani. Milano è sempre stata città di accoglienza, come Roma e Napoli. Amavo la zona tra via Piave e corso Buenos Aires perché la sua vocazione multirazziale mi faceva sentire a casa».

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