Quarantadue centimetri di altezza, 33 di larghezza: spogliata della sua importante cornice, la Madonna Litta appare un quadretto di dimensioni contenute, eppure è uno dei rompicapo della storia dell'arte. Da qualche giorno e in gran segreto è giunta in via Manzoni, al Museo Poldi Pezzoli, dove da giovedì sarà protagonista indiscussa della mostra Leonardo e la Madonna Litta (fino al 10 febbraio, mercoledì-lunedì, 10-18), intelligente riflessione, curata da Pietro Marani ed Andrea Di Lorenzo, su come funzionava l'atelier milanese del da Vinci, alla corte degli Sforza, sul finir del Cinquecento. La Madonna Litta torna a Milano dopo trent'anni: l'ultima volta fu a Palazzo Reale, come testimonianza il cartoncino dietro la cornice, che annovera le mostre cui ha partecipato. La più meneghina delle Madonne leonardesche, appartenuta ai duchi Litta ed esposta a lungo nella loro magione in corso Magenta, dal 1865 dimora infatti a San Pietroburgo, al Museo Ermitage. Trasferta eccezionale, questa: volo aereo con sosta a Francoforte di 24 ore, transfert superblindato in doppia cornice guidato da Apice e tre membri dell'Ermitage (climatologa, curatrice, restauratrice) al seguito. Del resto, non è un «normale» quadro tardo-quattrocentesco: il museo russo lo espone con la didascalia «di Leonardo da Vinci». Ieri, al Poldi Pezzoli, la doppia cassa in cui era ricoverato il dipinto è stata finalmente aperta: «Emozionante», dice la direttrice Annalisa Zanni. Federica Manoli, curatrice del museo, controlla e annota ogni dettaglio. Il viaggio è stato confortevole: tutto come da manuale. Pietro Marani, tra i massimi esperti in Italia su Leonardo, sorride.
Ad Arteria, società specializzata in tecnologie per la conservazione dell'arte, il compito di issare il quadro in una teca in vetro extrachiaro, antisfondamento, al cui interno sali di silco-gel permettono la stabilizzazione del microclima, ulteriore precauzione allo strumento esterno di controllo dell'umidità. Coccolata speciale, la Madonna Litta spicca ora sulla parete scura della seconda sala della mostra: accanto a lei, due strepitosi disegni in punta d'argento di Giovanni Antonio Boltraffio. La Litta è davvero di Leonardo o, come la critica italiana è più portata a ritenere, opera del Boltraffio, il migliore tra i suoi allievi dell'atelier milanese? Marani è schietto: «Poco importa capire se un singolo ciuffo di capelli o una parte dell'opera siano stati dipinti dal da Vinci o da un allievo: più interessante è comprendere come il progetto del dipinto sia stato concepito in quella bottega. Da questo punto di vista, la Madonna Litta è un capolavoro leonardesco».
Didascalia a parte, è di una bellezza struggente: questa delicata Madonna dalle labbra carnose allatta un bambinello che con una mano afferra il seno e con l'altra un pettirosso, lanciandoci un'occhiata inquietante.
Il panneggio della veste, la sfilacciatura del corpetto, lo sfumato del paesaggio sono dettagli magistrali: in mostra, dove saranno esposte anche le indagini scientifiche sostenute dalla Fondazione Bracco, ci sarà anche il confronto con la Testa di Donna, prezioso prestito leonardesco dall'Ambrosiana.
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.