Michieletto col suo Gogol «rottama» il melodramma

Michieletto col suo Gogol «rottama» il melodramma

Forse in Italia il 2014 verrà ricordato come l'anno dei trentottenni. Non solo grazie a un fiorentino classe 1975 che si appresta a fare il presidente del consiglio, ma anche a causa di un suo coetaneo veneziano che, dopo essere diventato un idolo della lirica internazionale, ha fatto il suo ingresso nel grande teatro di prosa con tutti i crismi. Damiano Michieletto è stato un po' il rottamatore delle cariatidi del melodramma: le temerarie ambientazioni dei suoi spettacoli, la sua predilezione per la cronaca invece che per la storia, il suo gusto per il kitsch e il triviale hanno fatto piazza pulita di molte convenzioni operistiche. Ora, dopo l'allestimento di «Un così fan tutte» sullo sfondo di un hotel per scambisti e una «Bohème» all'insegna del precariato nel lavoro e negli affetti, eccolo ad attualizzare un classico della drammaturgia russa. In realtà «L'ispettore generale» di Gogol che sarà in scena al Piccolo Grassi fino al 2 marzo (dopo aver raccolto applausi al Verdi di Padova e al Goldoni di Venezia) è leggermente retrodatato rispetto al solito «hic et nunc» di Michieletto, ma occhieggia smaccatamente all'attualità. La Russia evocata dal regista veneziano sembra un po' quella dell'immediato post Gorbaciov: una nazione sospesa in cui circolano già troppi petrolrubli, ma non è ancora giunto l'uomo forte a imporre la sua legge e il suo ordine. In un paesino ai confini dell'impero ex sovietico, il clan del malaffare è gestito da un sindaco dispotico sul quale in molti invocano l'apertura di un'inchiesta. Un giovane squattrinato e di passaggio, proveniente dalla capitale, viene scambiato per l'ispettore incaricato di relazionare sulla condotta dei politici locali. Il gioco degli equivoci si svolge tra una girandola di soldi sporchi, fiumi di vodka, donne tigrate e videogame. Come tutti i dissacratori, Michieletto è un massimalista: gli odori e i sapori della storia di Gogol vengono esaltati fino all'inverosimile e, com'è lecito aspettarsi, il regista ci aggiunge del suo. Tutto ciò piacerà al pubblico del Piccolo? Diversamente che nella lirica, nella prosa la dissacrazione e il kitsch sono da tempo la norma, a volte parecchio stucchevole, non la trasgressione.

A qualche spettatore invece potrebbe piacere l'ambientazione che il nostro rottamatore scelse per il suo contestatissimo «Ballo in maschera» dello scorso anno alla Scala: una tortuosa ma appassionata campagna elettorale.

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