Prima di ogni altra cosa, «Munari politecnico» è finalmente una mostra con un titolo azzeccato. Bruno Munari infatti non era genericamente un artista poliedrico: la sua versatilità espressiva si coniugava con una passione per la tecnica, per le «modalità di funzionamento» dei linguaggi creativi (per gli «ingranaggi», insomma), che gli consentiva di essere allo stesso tempo molto poetico e altrettanto preciso. Poeticità e precisione sono anche le due virtù dell'esposizione presso il Museo del Novecento che sarà aperta al pubblico da domenica 6 aprile a domenica 7 settembre.
In perfetto stile «poche opere ma buone», la mostra curata da Marco Sammicheli con la collaborazione di Giovanni Rubino attinge soprattutto dalla collezione di Bruno Danese e Jacqueline Vodoz, la coppia di lungimiranti imprenditori del design con cui l'artista milanese ha intessuto un lungo e fecondo rapporto.
Nelle sale un po' soffocanti al piano terra del Museo (che l'allestimento di Paolo Giacomazzi tenta invano di rendere meno claustrofobiche) sfilano opere realizzate nel corso di quasi mezzo secolo: Munari infatti ha esordito in tempi di avanguardie storiche, ma è stato soprattutto un protagonista delle seconde avanguardie, e in particolare degli anni eroici della scena artistica milanese. Attorno a lui, e insieme con lui, nella metropoli ambrosiana tra i '50 e gli 80 hanno agito altri instancabili sperimentatori come Enzo Mari, Franco Grignani, Getulio Alviani: la meglio gioventù della generazione optical, cioè di quella «ultima avanguardia», secondo una celebre definizione di Lea Vergine, devota alle «magnifiche sorti e progressive» e impregnata di fiducia nella scienza. Le opere di questi e altri artisti, presenti nella collezione del Museo del Novecento, dialogano con quelle di Munari.
L'effetto è quello di un raduno di vecchi amici, raccolti attorno al decano del gruppo, al più anziano ma forse anche al più giovane creativamente, e senza dubbio al più giocoso. E anche al più vanitoso: Munari amava molto farsi ritrarre fotograficamente, come testimoniano le belle foto realizzate da Ada Ardessi e Atto ed esposte nel museo: quasi una mostra nella mostra, intitolata «chi s'è visto s'è visto», all'insegna di quell'ironia che contraddistingueva questo artista, designer, grafico, ma soprattutto perenne bambino, scomparso novantunenne nel 1998.
Parallelamente all'esposizione dedicata a Bruno Munari, il Museo del Novecento, nella sale degli Archivi del Novecento dedicate a Ettore e Claudia Gian Ferrari, ospiterà (fino al 31 luglio) una mostra di documenti di Guido Ludovico Luzzato, il grande critico scomparso nel 1990, autore di lucide e acute letture della pittura espressionista tedesca.
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