Padri e figli in eterna lotta. Quella Milano vista dalla IV H

Giovedì esce «Gli sdraiati» di Francesca Archibugi girato al liceo Manzoni, sui Navigli e al Giambellino

Padri e figli in eterna lotta. Quella Milano vista dalla IV H

I ragazzi della quarta H hanno gli occhi grandi e tanta voglia di vivere. Ridono di gioia. Urlano e fanno il tifo. Uno di loro ce l'ha fatta. E ha girato un film. Gaddo Bacchini va al Manzoni. È uno come tanti, uno che non ci credeva. «Perché vuoi che la Archibugi scelga proprio me, tra migliaia di ragazzi». Invece. «È bello e antipatico, come mi serviva» interviene la regista de Gli sdraiati, in uscita giovedì. Gaddo abbozza con il sorriso tanto, là in fondo all'aula magna del liceo, c'è la torcida. «Sono minorenni» sentenzia austera la dirigenza. «Devono restare staccati dagli artisti». Essere giovani, insomma, sembra una colpa. L'adolescenza dà il brivido dell'onnipotenza. Dal fondo arriva un «grazie lo stesso» dei nativi digitali ai quali Claudio Bisio fa scena sì, ma fino a un certo punto. Di Cochi chissenefrega. La Archibugi è una signora che parla. La giornalista, e chi la conosce. Gigio Alberti ha i capelli troppo bianchi e Michele Serra pure. Romanzieri senza appeal, mica come la Rowlings. Ma, Gaddo...

Nel film è Tito. Uno di quei ragazzi che lasciano lo yogurt a metà sul tavolo del salotto e il dentifricio aperto. Uno di quelli ai quali il padre invade regolarmente la sfera privata. Uno di quelli che si sbronzano, perché oggi la droga di ieri si chiama alcol. Rum, tequila e wodka fanno più paura dell'eroina. E spaccano il fegato. Bisio è un papà pedante. Predica. È un tagliato fuori. E sbrocca. Finisce sull'orlo del collasso. Rivede il film della sua vita sbarellata. Una tresca con la cameriera che mette al mondo una figlia, guardacaso, fidanzata al suo Tito. Una del Manzoni. Una che non beve. Perché il branco di Tito le fa orrore. Come quelle sbornie malate. Zuppe di sogni marci. È silenziosa, Alice. In fondo non ha nulla da dire. Né forse da sentire in quel mondo imputridito dall'alcol. E Bisio teme che sia figlia sua.

Drammi da separati in una benestante Milano che sembra lontana galassie anche alla Archibugi. «Mi ha dato l'idea di lavorare all'estero». Ha cercato di conoscere la metropoli. L'ha girata in bici. Ce l'ha messa tutta. Ma Milano non ricambia chiunque. Si è lasciata girare. Da via Orazio, quella del Manzoni, a piazza Gae Aulenti, dove una volta - quando Bisio era piccolo - c'erano prati e acquitrini. Dal Giambellino ai Navigli. Da un Cochi, Caronte e Virgilio al tempo stesso. Tassista da circonvallazione interna e strade di periferia, ma guida saggia in una vita sballata. Lei, la città, non ci ha messo il cuore, ma solo la faccia. Perché Milano è così. Femmina che si concede solo a chi vuole lei.

E alla Archibugi, maestra nel descrivere famiglie, serviva una cornice non una protagonista. Così ha fatto la sua parte, come da copione. E il copione prevedeva due antipatici - padre e figlio - e qualcosa che con il libro di Serra non c'entrava. Già, l'indifferenza. Genitori che pretendono di fare gli amici. E ragazzi che i compagni di divertimento se li scelgono altrove. A Milano non è piaciuto essere considerata paradigma di questo. Matrimoni in frantumi e ruoli a gambe all'aria. O a gambe aperte. I milanesi sanno di non essere belli e impossibili come Gaddo. O come Alice.

Al Manzoni era in trasferta, lei che è nata a Rho, vive a Seregno e studia a Bollate all'Itc «Primo Levi». E non è amica di Gaddo. Almeno su Facebook. Perché il cinema non è la vita, «ma se capitasse il bis». Milano invece non è un'esordiente. I ruoli da star li conosce bene. E il cinema anche.

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