Perché il Comune ha paura dell’Expo

Perché il Comune ha paura dell’Expo

Povero Pisapia, vittima inconsapevole delle scelte irresponsabili di chi lo ha preceduto: l'Expo? «io non l'ho scelto, me lo sono ritrovato». Parole che certo non fanno sperare niente di buono sull'impegno di questa amministrazione per coronare di successo la manifestazione del 2015. A rincarare la dose arrivano le parole del super-assessore Tabacci - che in genere, comunque, non va famoso per la sua carica di ottimismo e positività - il quale definisce «un gesto in parte di sconsideratezza» la scelta di organizzare la prossima esposizione universale. Speriamo che tanto irresponsabile disfattismo, proprio alla vigilia della volata finale, non arrivi alle orecchie dei signori del Bie, l'organismo parigino che decide l'assegnazione e vigila sull'organizzazione dell'Expo, perché se vengono a conoscenza della carica di entusiasmo che a Palazzo Marino si mette nella realizzazione di questo evento, temendo uno storico flop ce lo tolgono subito. E non certo per il presunto ritardo sulla disponibilità delle aree per il quale, secondo Pisapia «il Bie aveva deciso di cancellarci», tanto per aggiungere ancora un po' di entusiasmo e di motivazioni.
Alla luce di queste dichiarazioni autolesioniste, in presenza di una così forte carica di negatività, la decisione del sindaco di dimettersi da commissario, annunciata con un colpo di teatro davanti all'assemblea annuale di Assolombarda, assume un significato diverso e più subdolo: è un po' come se Pisapia davvero sperasse che Monti lo liberasse da questa grana, che lui «non ha scelto» e che si è «ritrovato». Ma il premier non ci è cascato (avrebbe finito per trovarsi col cerino acceso fra le dita) e ha dato al sindaco un contentino: può almeno in parte liberarsi della grana, delegare ad altri i suoi poteri commissariali - operazione che comunque farà perdere dell'altro tempo. E pensare che fino all'altro ieri, anzi a quella stessa assemblea di Assolombarda Pisapia e tornato a definire l'Expo una «grande occasione non solo per Milano e la Lombardia ma per tutto il Paese». Qualcosa non torna, perché evidentemente si tratta di «una grande occasione» che lui «non ha scelto ma si è ritrovato», insomma che non voleva e che per il suo super-assessore è frutto di una scelta «sconsiderata».
Il fatto è che questi signori hanno una straordinaria capacità nello svalutare, nel deprezzare quasi nel denigrare le poche opportunità di sviluppo che la città si trova ad avere e che a loro, per qualche ragione, non garbano, forse solo perché a loro non piace il concetto di sviluppo. Indimenticabili, ad esempio, certe deprimenti dichiarazioni di Tabacci sulla Sea per scoraggiare il collocamento in Borsa e spingere per la vendita al fondo di Gamberale. D'altra parte bisogna dare loro atto che, a partire dai referendum che hanno preceduto l'elezione di Pisapia e per tutta la sua campagna elettorale, il movimento d'opinione che lo ha portato a Palazzo Marino e il suo stesso partito, Sinistra Ecologia e Libertà di Nichi Vendola, non hanno mai fatto mistero dell'ostilità per l'Expo, e addirittura dell'intenzione di mandarlo a monte, non fosse altro che per l'insopportabile marchio d'origine: è un successo della giunta Moratti. Malvolentieri Pisapia e Tabacci hanno accettato di andare avanti, costretti a tenere conto dei costi politici, di immagine e anche finanziari della rinuncia.

Ma l'indolenza e la malavoglia con cui stanno portando avanti il progetto e le opere - un esempio per tutti: i ritardi nella realizzazione delle due nuove linee della metropolitana - hanno profonde radici ideologiche e questo non promette nulla di buono, non solo per il futuro dell'Expo ma della città.

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