Il presente di Giordano Bruno La libertà? Brucia in una notte

Un'unica data milanese per l'opera in due parti diretta da Antoine Gindt L'antica tortura del rogo richiama le attuali atrocità degli estremisti dell'Isis

Avanti, c'è ancora posto per agghiacciare stasera al Teatro Strehler di fronte alla storia vera di un arso vivo. Uno delle migliaia di bruciati sul rogo (per non parlare di annegati, impiccati, infilzati, scorticati, strangolati...) in nome di una religione; in questo caso cattolica, ai tempi dell'Inquisizione. Da un'antologia di scritti di Giordano Bruno (curata da Nanni Balestrini, il romanziere di «Vogliamo tutto», libro bandiera del '68 e dintorni), il martire del libero pensiero arso sul rogo a Campo de' Fiori il 17 febbraio 1600, regnante papa Clemente VIII, è nata l'opera in due parti e dodici scene che vediamo in unica data milanese. Musica dell'organista e compositore pisano (ma di formazione internazionale) Francesco Filidei, libretto di Stefano Busellato, direttore Léo Warynski, regia di Antoine Gindt.

Il filosofo e frate di Nola, che operò in Francia e Germania, oltre che a Venezia e Praga, è simbolo della ricerca di verità, per la quale si può rischiare la vita. È ancora aperto il dibattito se di Bruno si possa parlare come di un grande pensatore, o se invece debba considerarsi un minore, reso eterno per il martirio atroce. A noi, basta un racconto di Bertolt Brecht ( Il mantello dell'eretico , contenuto nelle «Storie da calendario» del drammaturgo tedesco) per convincerci della prima ipotesi: molte sue intuizioni, dal movimento degli astri alla visione panteistica della divinità, portano Bruno nel cuore del pensiero moderno, persino attuale; e non ci riferiamo alla massoneria, per la quale il bruciato vivo fu, nell'Ottocento, un padre spirituale da seguire. In musica, il compositore Filidei attraversa la vita di Bruno e ne racconta sia la vicenda processuale durata otto anni (arrestato a Venezia venne estradato a Roma) sia la summa filosofica, in scene impostate ognuna su un'unica nota, tranne la scena finale dove le note lavorano insieme. Al centro, la firma drammaturgica del compositore e del regista Gindt: l'immagine del martire sul rogo, a contatto con il legno ardente. Nessun eufemismo scenico, nessuna deviazione dal senso primario: il rogo, ma senza compiacimenti sadici, deve arrivare diretto come una tortura allo spettatore seduto in poltrona, nella (relativa) quiete dei tempi; le atrocità dell'Isis non sono ancora nel cuore d'Europa.

«Avevo voglia di bruciare qualcuno», dice Filidei, con spirito ironico. «Come Umberto Eco, che disse di aver scritto Il nome della rosa per avvelenare un monaco».

Lo spettacolo, che debuttò con successo in settembre al Teatro Valli di Reggio Emilia per il festival dedicato agli eretici, arriva al Piccolo nell'ambito del 24esimo Festival di Milano Musica. Giordano Bruno è il baritono Lionel Peintre; il papa è Guilhem Terrail, controtenore; il tenore Jeff Martin e il basso Ivan Ludlow sono i due inquisitori; le voci soliste sono dodici.

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