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Voleva fare un attentato al centro commerciale di Arese, arriva la condanna definitiva

Il 33enne, fermato nel 2016, è stato condannato a quattro anni dalla Corte di Cassazione per "partecipazione all'organizzazione terroristica sovranazionale denominata Stato Islamico". Sul suo cellulare trovato materiale legato al terrorismo

Voleva fare un attentato al centro commerciale di Arese, arriva la condanna definitiva

Avrebbe voluto compiere un attentato al grande centro commerciale di Arese, ma venne fermato e arrestato. Adesso, è arrivata la conferma della condanna a quattro anni di reclusione per "partecipazione all'organizzazione terroristica sovranazionale denominata Stato Islamico" da parte dei giudici della Cassazione per Nadir Benchorfi, il 33enne fermato nel dicembre 2016 dagli agenti della Digos in un appartamento di via Tracia, nel quaritere San Siro, a Milano.

Il materiale e la foto del centro commerciale

Secondo quanto riportato da Il Giorno, per arrivare a questo verdetto, i giudici avrebbero messo insieme tutti gli elementi che, come un mosaico, hanno portato a delineare il profilo criminale di Benchorfi. Sul cellulare dell'uomo, infatti, gli inquirenti avevano trovato foto di leader terroristici, immagini di esecuzioni, video di combattenti e poi tracce di quei soldi, 6mila euro, inviati a persone pronte a partire per la Siria. Ma, soprattutto, le foto del centro commerciale di Arese, messe in relazione dagli investigatori "con la frase nella quale aveva parlato di un programma, per la cui attuazione era necessaria un po' di esperienza in vista della buona ricompensa di Dio, e considerata significativa della volontà di organizzare un attentato ai danni della struttura".

I soldi ai foreign fighters

"Aveva dato la sua disponibilità a compiere attentati, ma non ci sono riscontri su una sua reale e imminente capacità di esecuzione", aveva dichiarato all'epoca del fermo l'allora questore di Milano, Antonio De Iesu. "Le indagini sono partite nel settembre scorso dopo una segnalazione ricevuta da una fonte confidenziale", aveva confermato il dirigente della Digos, Claudio Ciccimarra. Che aveva aggiunto: "Le attività di intercettazione e monitoraggio dei flussi economici ci hanno permesso di avere molte conferme. Il sospettato riceveva le indicazioni per l'invio di soldi a combattenti, per lo più foreign fighters, attraverso money transfer. Versamenti da 50 a 600 euro per volta e in diversi Paesi africani e del Medio Oriente". In Corte d'Assise erano cadute le accuse legate alle sue frequentazioni con due cugini, sospettati di legami con il terrorismo ai tempi in cui viveva in Germania. Ma per ciò che riguardava il resto, i giudici avevano condiviso le ipotesi accusatorie, pur condannandolo a quattro anni e non otto (quelli richiesti dal pubblico ministero, Enrico Pavone) ma concedendo le attenuanti generiche. Il tutto, poi, confermato in appello, nel luglio di un anno fa.

Il verdetto della Suprema Corte

In queste ore, la Cassazione ha ritenuto inammissibile il ricorso presentato dai legali di Benchorfi, basato sulla presunta "assenza di prove circa l'esistenza di un contatto operativo reale tra il giovane" e "l'associazione terroristica".

Per i giudici, le motivazioni della Corte d'Assise d'Appello si sono mantenute nei limiti dei principi elaborati dalla Cassazione "in tema di partecipazione ad associazione terroristica". Il 33enne, inotre, avrebbe avuto contatti con Messlama, "soggetto che ha credibilmente rivendicato la sua appartenenza all'Isis".

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