Quando Milano si è scoperta povera

(...) Se dai un pane a un povero ma lo lasci senza futuro, a che serve? Ricordate Miracolo a Milano, il bellissimo film di Vittorio De Sica? I protagonisti erano tutti poveri, ma tutti così carichi di futuro che, se la società non glie ne avesse dato uno qui in città, loro se lo sarebbero preso comunque, magari, perché no?, in cielo.
Vittorio De Sica non era milanese, e si vede. Per noi milanesi il cielo non è che non esista, il paradiso (magari) c'è, però è un ripiego: se ci va male, ci resta almeno il cielo. Però sarebbe meglio poterne fare a meno.
Eppure, magari frettolosamente, il problema di dare un futuro ai poveri - oltre a un maglione, un tetto sulla testa e un piatto di minestra - noi milanesi l'abbiamo sempre affrontato.
E poi c'è anche chi non l'ha fatto in fretta. Pensiamo alle opere straordinarie che la generosità umana, unita (il più delle volte) alla fede, ha prodotto nella nostra città. Dalla Ca' Granda - che fornì il modello per tutti gli ospedali del mondo - alle opere di Don Gnocchi, di Fratel Ettore, dei francescani, fino ai fornai milanesi, presso i quali esiste ancora la tradizione (valida anche per diversi fornai musulmani) di fare il pane per i poveri.
Ora il numero dei poveri cresce. Secondo i dati raccolti dalla Caritas, in dieci anni i poveri a Milano sarebbero aumentati del 400 per cento. Quadruplicati quindi. Colpa della crisi, certo, e forse un po' anche della paura. La paura di diventare poveri è diffusa anche presso chi povero non è. Si sta più attenti a spendere, la casa si rinnova più lentamente, si rinvia l'acquisto della macchina nuova, e nemmeno in pizzeria ci si va a cuor leggero. Ma la paura non produce frutti buoni.
Io credo che anche noi, che ci occupiamo di informazione, dovremmo liberarci della Milano da bere che continua a esistere dentro di noi e avere il coraggio di accettare la sfida che la storia di questa città (la storia vera) ci lancia, di accettare il contagio della solidarietà e della carità.
Il benessere ci ha reso tutti soli. Nessuno ha colpa se c'è la crisi, e forse è impossibile aiutare tutti a uscire dalla povertà.

Io penso che basterebbe cominciare a rompere la barriera di solitudine, approfittare del bisogno che chiama per cercare di ricostruire una comunità. Perché dentro una comunità di vita la povertà magari non sarà debellata, ma può diventare fin d'ora più umana.

Commenti
Disclaimer
I commenti saranno accettati:
  • dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
  • sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.
Accedi
ilGiornale.it Logo Ricarica