Quella Milano delle fabbriche tutta «cumenda» e lotta di classe

Quella Milano delle fabbriche tutta «cumenda» e lotta di classe

Soltanto venti giorni per fare un salto indietro di trent’anni. Un tuffo nell’hinterland milanese che allora era in bianco e nero, erano le grandi fabbriche metalmeccaniche, le lotte di classe e di sindacato. Più che mai attuali. Raccontate da dentro l’azienda, dal cuore della fabbrica e con la passione e le emozioni di chi la ha vissute in prima persona. La storia spesso diventa romanzo. L’occasione per rivivere uno dei decenni più controversi della Milano industriale intrecciando la vita di chi lavora in una grande azienda e che nello spazio di tre settimane si incontra, si lega e alla fine cambia. Sorprendentemente. Da una parte c’è la classe operaia con i suoi tumulti, l’ideologia dei giovani dei collettivi studenteschi, il sogno di poter cambiare un mondo che svanisce quando viene a contatto con vita di tutti i giorni. Dall’altra ci sono l’impresa e gli imprenditori di una volta: audaci, non sempre trasparenti e intonsi e non sempre istruiti. Però capaci di scommettere e riconoscere il valore aggiunto dell’uomo nelle loro fabbriche. Storie, anzi una storia che Marcello Tajani, oggi avvocato ma negli Anni ’80 uomo con un importante curriculum dirigenziale in azienda, racconta in «Soltanto venti giorni» il suo primo libro publicato dall’editore Devanzis oggi premiato come opera prima a Porto Venere dalla giuria letteraria «Cinque terre Sirio Guerrieri». Così in meno di un mese cambiano la vita dell’ingegner De Santis e della sua segretaria Matilde, del maresciallo Rizzo e del dottor Serra che si avvolgono e si intrecciano tra le mura della Cesare Galbiati & C, una grande fabbrica che naviga in cattive acque. Nelle riunioni, nelle paure, negli intrallazzi per aggirare le difficoltà economiche e negli scioperi. Venti giorni che cambiano esistenze, valori, convinzioni e pregiudizi. Cambiano la protagonista Matilde, barricadera ragazza dei collettivi autonomi che si ritova al fianco del direttore generale di un’azienda, che odia il «padrone» e cerca di incastrarlo ma che alla fine si ritrova a fare i conti con il buonsenso dei tanti lavoratori che vivono di stipendio. E lo difendono. Ma soprattutto che si ritrova a fare i conti con la fine della sua utopia. «Questo libro nasce dal mio amore per l’azienda- spiega Tajani- Un mondo che ho frequentato con vari incarichi per anni e mi è rimasto dentro. Nulla di autobiografico ma è chiaro che tutti i personaggi sono lo stereotipo reale delle persone che ho conosciuto». La segretaria, i manager, il responsabile della sicurezza interna, il fido autista, i sindacalisti duri e non sempre puri, le manifestazioni, le trattative e un omicidio che tiene tutto legato e servirà a rimescolare le carte dei destini apparentemente lontanissimi. «L’ambientazione è milanese- racconta l’autore- perchè in quegli Anni qui c’erano le grandi fabbriche. Milano è sempre stata il centro indiscusso dell’imprenditoria italiana e ha segnato le tappe delle grandi sfide sindacali». Trent’anni fa per capire come siamo cambiati. Come è cambiata la storia e un pezzo di mondo reale in cui molti non si ritrovano perchè sono diversi i valori, le maniere, lo stile antico di una borghesia che non c’è più.

«Oggi gli imprenditori sono diversi- racconta l’autore- Magari più istruiti ma lo spirito di chi è stato capace di costuire imperi dal nulla purtroppo si è perso». E basta poco per rendersene conto: soltanto venti giorni.

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