Ritmi contemporanei dai solisti di Santa Cecilia

Concerto della prestigiosa orchestra di Roma Sul podio il compositore ungherese Eötvös Debutto del grande percussionista Grubinger

Ritmi contemporanei dai solisti di Santa Cecilia

Attesissimo domani alla Scala (ore 20) il concerto dell'Orchestra dell'Accademia di Santa Cecilia. Con la Filarmonica della Scala, che l'ha invitato a Milano, è il complesso di punta d'Italia. Sul podio, un compositore chiave della scena contemporanea, l'ungherese Peter Eötvös, musicista che per formazione e professione possiede gli strumenti per leggere l'arte contemporanea e del Novecento. Il programma accoglie infatti un suo testo (Speaking Drums), un brano di Ligeti (Melodien) e Ives (Three Places in New England), poi chiude strizzando l'occhio al pubblico con Un Americano a Parigi. Questo concerto vede il debutto alla Scala di un percussionista di lusso come Martin Grubinger, forse il percussionista dil classica più noto, già dedicatario di una serie di testi scritti apposta per lui. Conteso fra le orchestre più prestigiose, Wiener Philharmoniker in testa, ha avviato anche una carriera solistica di qualità. Alla Scala, lo vedremo impegnato in Speaking Drums, composizione di Peter Eötvös che richiede al solista l'impossibile. Prima cosa, Grubinger dovrà suonare una vasta gamma di strumenti, quindi tamburi, pelli, metalli, marimba, gongs e anche strumenti appartenenti alle culture orientali. Inoltre deve enunciare versi del poeta ungherese Sándor Weöres, spesso basati su allitterazioni dal ritmo marcato che creano una sorta di «contrappunto vocale» ai ritmi dei tamburi e degli strumenti in metallo.

Oltre a questa performance con la voce, il solista si sposta in diversi punti del palcoscenico, come un cantante o attore, con altri strumentisti dell'orchestra al suo seguito. Peter Eötvös, ungherese, 71 anni, è uno dei più grandi compositori viventi, tante sue partiture sono ormai entrate nel repertorio di teatri e orchestre. È piuttosto legato all'Italia. Si parte dal Leone d'oro alla carriera della 55esima edizione della Biennale di Musica di Venezia. Ha appena completato l'opera Senza sangue, su testo di Baricco, al suo debutto il prossimo maggio con la New York Philharmonic Orchestra. Eötvös è cresciuto nella Ungheria Sovietica, sebbene grazie a permessi di studio viaggiò molto nell'Europa d'Occidente dove poi si è stabilito definitivamente. Giovanotto, aderì ai movimenti underground ungheresi e ricorda con piacere la figura di György Acel, chiamato a controllare le questioni culturali e capace di mediare «fra le pressioni dei Russi e le esigenze di noi Ungheresi», spiega. Acel, continua Eötvös, «sapeva che altrimenti il movimento sarebbe esploso e magari diventato violento. Con il teatro fu meno tollerante, a differenza della musica, il teatro è più esplicito dunque è difficile chiudere un occhio».

Eötvös ha sempre sostenuto il «dovere» di dire, ecco perché «negli anni Sessanta quando ebbi la fortuna di poter uscire dall'Ungheria e di conoscere cosa accadeva nell'Europa dell'Ovest, una volta a Budapest volli divulgare le mie conoscenze, sentivo che era un dovere informare». A questo punto, è giusto trattare anche temi politici in un'opera? «Non necessariamente. Credo sia opportuno trattare soggetti che prescindono dal tempo, ci sono temi, legati all'uomo, che non moriranno mai».

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