Rivoluzionario e scacchista: i mille volti di Che Guevara

Alla Fabbrica del Vapore foto, lettere, diari, discorsi e album sul medico che amava la rivolta e la famiglia

Simone Finotti

Dove termina il mito - spesso, peraltro, evocato a sproposito - incomincia la storia. E quella di Ernesto Che Guevara non ha certo bisogno dei soliti triti slogan per risultare degna di essere raccontata. Lo si può fare, ad esempio, partendo dalle numerosissime immagini che accompagnano e testimoniano, quasi giorno per giorno, i 39 anni di vita del medico guerrigliero protagonista della rivoluzione castrista a Cuba. Migliaia di scatti pubblici e privati relativi non solo agli anni dell'impegno politico e militare. Tutt'altro: la prima scoperta di chi visita la mostra interattiva Che Guevara, tú y todos (ideata da Simmetrico Cultura, catalogo Skira), allestita fino all'1 aprile 2018 alla Fabbrica del Vapore per ricordare i 50 anni dalla morte, è che al di là dei luoghi comuni, anzi ben prima di essi, c'è un uomo assai lontano dalla vuota retorica da marketing delle idee che siamo abituati a vedergli appiccicata.

Divoratore di classici fin da bambino, amante in egual misura degli scacchi e del rugby (quali discipline fra loro più diverse?), poeta, fratello affettuoso, marito appassionato, filosofo, diarista e viaggiatore per tutta la vita. Borghese amico dei poveri, medico e motociclista, ma questo si sapeva. Imponente la messe di documenti vagliata in più di due anni da un team di studiosi e archivisti: oltre 2mila testimonianze fra lettere, diari, fotografie, scritti autografi, libri della biblioteca personale, video, discorsi, opere politiche e letterarie. Risultato: più di mille metri quadrati di mostra con proiezioni interattive, totem, audiovisivi, timeline e decine di schermi a comporre un unico, suggestivo racconto. A farla da padrone sono le immagini: già nel primo ambiente si possono sfogliare grandi album virtuali in cui vengono proiettate foto suddivise per epoche della vita, dall'infanzia alla conquista della maturità, mentre al piano superiore ampi tavoli-cassettiera touch screen guidano il visitatore attraverso i molteplici e caleidoscopici interessi di Ernesto Guevara.

Sullo sfondo un'installazione sorprendente mostra da un lato l'effigie del volto del Che - quella, per intenderci, che campeggia sulle t-shirt come una sorta di «Sindone laica» -, e dall'altro la sua inconfondibile firma. Ma il cuore dell'esposizione è un'ampia sala al pianterreno, dominata dai colori rosso e nero e animata dalla colonna sonora di Andrea Guerra, in cui, con un taglio giornalistico che molto concede al fluire dei ricordi e delle emozioni, si ripercorre l'epopea del Che dagli inizi dei moti di Cuba, nei primi anni Cinquanta, alla morte in Bolivia nell'ottobre del 1967. Ci si arriva attraversando una parete di 16 metri a fasce mobili che raccoglie immagini iconiche dei Fifties, dai divi di Hollywood alle rombanti autovetture cromate, dalle Lucky Strike alle prosperose pin-up. La sfida è chiara: superare prospettive edulcorate e patinate per accettare di guardare al mondo come, negli anni, imparò a vederlo il Che.

Senza cadere nell'eccesso opposto, perché Guevara, anche se per molti è scomodo riconoscerlo, fu il primo critico di certe storture ideologiche: «Dobbiamo convenire che i Paesi socialisti sono, in certa maniera, complici dello sfruttamento imperialista», disse nell'ultimo discorso pubblico.

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