Simone Finotti
Se c'è un narratore dalle alterne fortune, condannato a entrare e uscire dalle inquadrature della critica come un pendolare del canone novecentesco, senza però mai perdere il contatto con il più puro affetto dei lettori, quello è Dino Buzzati. Talento visionario e precoce, seppur tardivamente riconosciuto, si confessava annoiato da tutto ciò che di lui si diceva e scriveva, e di frequente venne ripagato con la medesima piccata indifferenza. Tanto che lo stesso Leo Longanesi, che pure ebbe il merito di dissotterrare -80 anni esatti fa- quel capolavoro assoluto che è Il deserto dei tartari (1940), sublime inno alla noia dei nostri banali, irresoluti destini, non sempre sembrò comprenderne appieno la profondità poetica. Colpevole, forse, la naturale nonchalance -scambiata dai disattenti per disimpegno- con cui amava transitare tra fantasia e realtà, mettendo in dialogo costante la doppia anima di cronista e inventore di storie, montanaro immaginifico e urbano scolpitore di parole, cantore delle rocce innevate come degli isolati metropolitani con tutto il loro carico di «non detto». Un saliscendi nei favori dei maîtres à penser engagés che ricorda il profilo frastagliato delle natie Dolomiti. O anche, a ben pensarci, l'inconfondibile zig zag delle guglie del nostro Duomo. Fu proprio Milano la città a cui, fin da bambino, il Buzzati giornalista, scrittore, poeta e pittore si trovò indissolubilmente legato. Non stupisce dunque che il Centro Culturale di Milano, dopo il successo della lettura integrale dei Promessi Sposi, dedichi al poliedrico «milanese delle Dolomiti» il ciclo incontri «Scusi, da che parte per piazza del Duomo? Dino Buzzati nella città contemporanea», a cura di Alessandro Zaccuri, fino a giugno all'Auditorium di largo Corsia dei Servi 4. In una dozzina di appuntamenti, di norma a cadenza quindicinale (alle 18.30), giornalisti e autori, accompagnati da letture teatrali, si confrontano per cercare di capire, a quasi 50 anni dalla morte (era il gennaio del 1972), quanto l'esperienza di Buzzati può ancora insegnare ai nostri tempi. Il prossimo incontro sarà domani, con Ferruccio De Bortoli che racconta la «nera» e lettura di Laura Piazza. Una passione cronachistica che fa il paio con l'attività squisitamente letteraria, in un rapporto costantemente dialettico, quasi osmotico (del resto gli articoli di Buzzati erano anch'essi letteratura). Comune denominatore: la ricerca di senso nei vortici del caos. Del resto, nell'opera di Buzzati la quotidianità non è mai negata né contraddetta, ma trasfigurata in una dimensione essenziale che rimanda al simbolo, all'allusione, al mistero. Proprio di mistero, a partire dal «Crollo della Baliverna», racconto tra i più apprezzati pubblicato sul Corsera nel 1951, parla Gianni Biondillo l'11 febbraio.
Tra gli appuntamenti più attesi quelli del 24 marzo, con Luigi Mascheroni de Il Giornale che ne «La montagna e i suoi segreti» ricorda la tragedia del Vajont con lettura di Angela Demattè, del 7 aprile («Fino al giorno del giudizio», con Paolo Alliata e «La fine del mondo»), e del 26 maggio con Luca Doninelli, fra gli ideatori della rassegna, che racconta il suo Buzzati.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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