La sera del 14 febbraio di due anni fa i chiostri di Filosofia alla Statale erano aperti per una festa di carnevale organizzata da un collettivo universitario. Federico Capitolo, lo studente dell'Accademia di Brera che in questa storia poi sarebbe diventato «la vittima», arrivò con un paio di amici. A un certo punto, con un pennarello disegnò un graffito su un manifesto attaccato al muro. Era un manifesto che chiedeva la libertà per alcuni militanti, e il fatto che venisse coperto così non andò giù a Lorenzo Kalisa Minani e Simone Di Renzo, studenti di area antagonista di Scienze politiche, frequentatori assidui del centro sociale Panetteria occupata e attivisti del movimento No Tav. Per questo, quella sera, pestarono a sangue Federico.
Ieri il collegio dell'ottava sezione penale del tribunale, presieduto da Luisa Ponti, ha condannato a tre anni e quattro mesi Minani (per lesioni gravissime e violenza privata) e a otto mesi Di Renzo (che risponde solo di violenza privata). Accolte, in sostanza, le richieste del pubblico ministero titolare delle indagini Piero Basilone, che aveva ipotizzato condanne rispettivamente di tre anni e tre mesi e di un anno. E nessuna attenuante generica concessa, perché i due «non hanno mostrato alcun accenno di resipiscenza o dispiacere» per quei fatti. Anzi, hanno sempre «negato l'evidenza fornendo versioni dei fatti lontane dai criteri minimi di logica e coerenza». I loro avvocati Eugenio Losco e Mauro Straini avevano puntato in alto, chiedendo l'assoluzione «per non aver commesso il fatto». Puntando sul fatto che un amico di Capitolo, presente quella sera, aveva poi ritrattato la sua testimonianza, smentendo in un secondo verbale il riconoscimento fotografico di Minani e Di Renzo che aveva fatto la prima volta.
Quella sera, ha ricostruito la Procura, Federico fu investito da una scarica di calci e pugni. Circondato da una ventina di altri militanti, testimoni più o meno omertosi di quel pestaggio. Gli aggressori gli provocarono quella che, giorni dopo, sarà refertata come «frattura al cranio», oltre che le «lesioni varie su tutto il corpo». Il ragazzo rimase a terra tramortito, gli antagonisti si allontanarono. Forse volò qualche minaccia, di quelle che invitano a tenere la bocca chiusa. Federico comunque non denunciò nemmeno le botte prese tra il chiostro e la strada appena fuori, e aspettò diversi giorni per andare a farsi medicare al pronto soccorso dell'ospedale San Paolo: era conciato ancora così male che a metà marzo dovette anche essere operato. Ed è dalla denuncia dei medici, non dalla sua, che partirono le indagini.
Quella sera Federico subì «una deformazione
permanente del viso», hanno scritto i giudici. I quali, per questo, accogliendo la richiesta del suo avvocato di parte civile, Marco Lacchin, gli hanno accordato anche un risarcimento di 28mila euro.Twitter @giulianadevivo
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